
Non è frequente che un politico venga processato per le frasi dette nell'aula del Parlamento: dove vige una libertà quasi assoluta di espressione, tutelata dalla Costituzione. A Daniela Santanchè (foto), ministro del Turismo, viene oggi contestato di avere travalicato i limiti, utilizzando il suo intervento in Senato il 5 luglio 2023 per denigrare un suo rivale in affari. Nel contempo, le viene recapitata una nuova sentenza di fallimento relativa a una delle sue società, la Ki Group Holding, ma lei si mostra tranquilla: «Queste sono aziende che ho lasciato da molto tempo, che sono del padre di mio figlio, me ne dispiace, ma non mi sento coinvolta».
Tranquilla, secondo quanto riferisce il suo entourage, il ministro sarebbe per il processo per diffamazione che prende il via a Roma. Tutto nasce da una denuncia di Giuseppe Zeno, finanziere di Torre del Greco trapiantato alle Bahamas, che dopo essere stato socio della Santanchè è entrato in rotta di collisione, e ha poi firmato gli esposti finiti agli atti delle inchieste per falso in bilancio a carico dell'esponente di Fratelli d'Italia. Dopo l'intervento della Santanchè in Senato, Zeno l'ha denunciata anche per diffamazione.
Ieri in tribunale a Roma il giudice Alfonso Sabella ha disposto che il processo per diffamazione vada avanti, nonostante il difensore Niccolò Pelanda avesse ricordato l'esistenza dell'immunità parlamentare. Il giudice ha ritenuto che il discorso in aula della Santanchè «non rientrasse nelle prerogative costituzionali a garanzia di ministri e parlamentari». In quel momento parlava come comune cittadina, e così deve rispondere delle sue parole.
La Santanchè era intervenuta dai banchi del governo per l'informativa sul dissesto delle società del gruppo Visibilia. Aveva difeso il proprio comportamento e aveva attaccato l'ex socio Zeno (che ha denunciato per estorsione), accusandolo di avere agito per fini personali e con metodi scorretti. Aveva ricordato anche l'esistenza di registrazioni, probabilmente quelle in cui parlando con Dimitri Kunz, compagno della Santanchè, Zeno si dichiarava disposto a uscire di scena in cambio di trecentomila euro e in alternativa prospettava sfracelli: della ex socia diceva «se non si chiamava come si chiama era già andata al Creatore», e i suoi collaboratori che «si faranno male», «io metterò in croce i vostri avvocati, manderò all'aria i vostri revisori».
La denuncia per diffamazione spiccata da Zeno è stata raccolta dalla Procura della Repubblica che ha incriminato la Santanchè, contestandole come aggravante avere «commesso il fatto mediante l'utilizzo del canale Youtube del Senato
della Repubblica, e per aver attribuito un fatto determinato». La Santanchè potrebbe chiedere al Parlamento in sua tutela ma pare sia in realtà orientata a affrontare il processo sostenendo di avere detto solo la verità.