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Saviano sopra ogni legge: "Dico quello che voglio"

A processo per aver dato della "bastarda" alla Meloni: "Sono uno scrittore, non mi possono condannare"

Saviano sopra ogni legge: "Dico quello che voglio"

«Merde assolute. Merde assolute. Roberto Saviano, al termine della prima udienza del processo che lo vede imputato per diffamazione per aver dato della «bastarda» a Giorgia Meloni, è visibilmente nervoso.

Non sappiamo a chi si riferisca, ma lo scrittore napoletano sembra non deve aver digerito bene il fatto che gli sia stato impedito di poter leggere una sua dichiarazione spontanea per motivi burocratici. «In Aula si è detto che non dovevo fare il comizio ma io voglio solo difendermi», racconta Saviano parlando con i cronisti, alla presenza di amici come Michela Murgia e Massimo Giannini. La scrittrice sarda e il direttore della Stampa sono stati al suo fianco per buona parte della mattinata, uno a destra e una alla sua sinistra, proprio come delle guardie del corpo aggiunte. La Murgia lo abbraccia prima che Saviano entri in Aula e insiste per assistere come pubblico all'udienza. Alla fine ci riesce: missione compiuta. Tra gli altri sono presenti anche lo scrittore Walter Siti e l'attrice Kasia Smutniak. Tutti presenti per sostenere il collega partenopeo che, parlando con i giornalisti italiani, annuncia: «Matteo Salvini è con noi, cioè si è dichiarato parte civile in questo processo». E ha aggiunto: «Credo di aver il record di giornalista, personalità, individuo più processato da questo governo». La rabbia è palese e Saviano non vuol abbandonare la scena senza aver detto ciò che si era preparato. Saluta i giornalisti italiani e dà appuntamento a tutti i cronisti all'ingresso del tribunale dove lo attende la stampa estera. È qui che Saviano, ancora spazientito per non aver potuto esporre la sua dichiarazione spontanea, prende le tre pagine che aveva scritto e, prima di iniziare a declamarle, premette: «Non c'è nessun comizio da fare. Sono io che sono stato costretto a venire qui perché chiamato in giudizio. Chi viene qui non comizia, si difende».

Ma, poi, inizia. «Mi trovo rinviato a giudizio per aver criticato in modo radicale due politici, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che ho ritenuto maggiormente responsabili della propaganda politica fatta ai danni dei profughi», dice Saviano. Che, poi, precisa: «Una propaganda che non si limita ad attaccare persone in cerca di salvezza lontano da Paesi martoriati da guerre, povertà e desertificazione, ma fa di più: si scaglia contro le ong operanti nel Mediterraneo che, con le loro imbarcazioni raccolgono donne, bambini, uomini dal mare un attimo prima o un attimo dopo che questo si trasformi nella loro tomba». Saviano si difende e passa subito al contrattacco: «Ritengo singolare che uno scrittore venga processato per le parole che spende, per quanto dure esse siano, mentre individui inermi continuano a subire atroci violenze e continue menzogne». L'autore di Gomorra vede questo processo come un'opportunità per «esorcizzare la più subdola delle paure e cioè che avere un'opinione contraria alla maggioranza significhi avere un'opinione non legittima. E, quindi, che avere problema con la maggioranza di questo governo significhi avere un problema con la giustizia». Saviano prosegue: «Questa maggioranza politica vuole condurci verso quella che Galeano battezzò democratura». Peccato che queste parole vengano pronunciate dopo quelle del legale di Giorgia Meloni, l'avvocato Luca Libra che, parlando con i giornalisti, annuncia: «La querela nasce dal livore utilizzato. Io ho insegnato a mio figlio che la parola bastardo è una offesa. Valuteremo comunque se ritirare la querela». L'avvocato di Saviano, Antonio Nobile, invece, ha annunciato di voler ascoltare in Aula come testimoni il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, il senatore Maurizio Gasparri, il fondatore dell'Ong Open Arms Oscar Camps e l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti. Quello che non doveva essere un comizio politico è divenuto, di fatto, un monologo.

Quel che doveva essere un processo contro Saviano, diventerà un processo alle politiche del governo.

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