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Lo scandalo delle toghe protette dai colleghi. Ecco perché serve il test

Il libro di Zurlo svela l'orrore della casta dei giudici. Servono gli esami psicoattitudinali

Lo scandalo delle toghe protette dai colleghi. Ecco perché serve il test

Ci sarà, probabilmente chi, sfogliando il bel libro di Stefano Zurlo, commenterà: «tutti possono sbagliare», «giudicare è un mestiere difficile», «anche i giudici sono uomini». Lo direbbe di un chirurgo che dimenticasse i ferri nel corpo del malato? Il caso del giudice che si scordò di scarcerare un detenuto, rimasto in cella 51 giorni oltre il termine, non è meno grave: la libertà personale è come l'aria, è quanto ha di fondamentale l'uomo. Come insegna Dante: «libertà vo cercando, ch'è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta».

Affiderebbe i propri figli a chi, in stato di ebrezza, avesse insultato i poliziotti, ed avesse apostrofato la dottoressa del 112 con le parole: «Ti lecco la f...»? Sono manifestazioni di inciviltà di un magistrato e accadute non una sola volta: è segno, perciò, che era rimasto in servizio dopo che aveva manifestato di eccellere in arroganza e turpiloquio. Annota Zurlo: «Così il cittadino inconsapevole entra a Palazzo e si affida a soggetti che non potrebbero rimanere cinque minuti in più in un ufficio o in un'azienda». Non è solo una questione di dignità: è in gioco l'equilibrio, la serenità, il rispetto che un giudice deve a tutti e in particolare a chi è da lui giudicato.

I casi denunciati da Zurlo nel Libro nero della magistratura ci dicono che chiunque può essere giudicato da personaggi come quel magistrato che ha dimenticato gli imputati, o che ha impiegato vent'anni per definire una causa.

Il giudice ha nelle sue mani un potere enorme, è simile a un dio (e qualcuno crede di esserlo): è un uomo che decide della vita di un altro uomo, del suo lavoro, dei suoi affetti. Perciò non può sbagliare dove con un po' di diligenza non sbaglierebbe. Eppure in più di un caso i magistrati oggetto di procedimento disciplinare sono recidivi, sono colpevoli ripetutamente delle stesse mancanze. Ma nessuno lo sapeva, come non lo sappiamo neanche ora perché i loro nomi sono ignoti, sono stati censurati per esplicita richiesta del Csm: cosicché, se non sono stati radiati, chiunque può trovarseli davanti, padroni del suo futuro è della sua esistenza.

La piaga che Zurlo ha portato alla luce non è solo che vi siano magistrati di tal fatta: è che questi magistrati lavorino ogni giorno, sinché non siano scoperti, protetti dalla toga, e che nessuno sappia chi ha di fronte. Un uomo giusto o un pazzo? Un uomo onesto o un corrotto? Un lavoratore o uno scansafatiche? Nessuno può saperlo.

È necessario punire, ma anche, e soprattutto prevenire. Come? Il rimedio c'è: il test psicoattitudinale per l'ingresso in magistratura, ripetuto dopo un certo numero di anni. Era stato previsto con la riforma dell'ordinamento giudiziario sotto il governo Berlusconi. Poi, secondo il costume italiano, non tutti, nella maggioranza, furono d'accordo e non se ne fece più nulla. Il libro di Zurlo ripropone l'urgenza di questa riforma all'attenzione di tutti, ed in particolare della classe politica.

Ci vuole un po' di coraggio: facciamo questa riforma prima di incappare in un magistrato come quel giudice di Corte d'Appello che «si è macchiato di abusi orrendi, ancora di più, in una scala senza fine del degrado, perché le vittime delle sue pulsioni sfrenate erano le nipotine».

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