
Tra lo Stato, la Chiesa e la mafia c'erano 50 metri di strada franata in una notte d'inverno, sono bastati per interrompere una tradizione lunga 400 anni. Stanotte e domani il quasi inaccessibile santuario della Madonna di Polsi tanto caro alla 'ndrangheta, mistico teatro di miracoli e apparizioni dal 1700, sarà un deserto: niente pellegrini dietro la statua lignea che sorveglia questo pezzo d'Italia dimenticata. Non c'è stata la novena alla Madonna della Montagna, non ci sarà nessuno alla veglia che nella notte tra l'1 e il 2 settembre ricuciva una ferita millenaria tra il territorio e la gente d'Aspromonte cara a Corrado Alvaro. Le celebrazioni sono state rimandate a dopo il 14 settembre, in attesa di "tempi più favorevoli, quando ci sarà un contesto rinnovato e sicuro", la mafia sotto sotto se la ride per un autogol che politica e autorità ecclesiastiche provano a rimpallarsi. Perché in quel magma di fedeli bisbiglianti e festosi, figghioli ca Muntagna comu mamma, si nascondevano in piena luce i capi delle famiglie mafiose per il summit su accordi e strategie, investiture e investimenti che ogni anno decide i destini dell'organizzazione criminale più potente, diffusa in tutto il mondo ma ostinata nel voler controllare i suoi sporchi traffici chiedendo blasfeme intercessioni e indulgenze. Dalla montagna alta 862 metri su cui si arrampica il santuario alla foce del torrente Bonamico, dove si custodirebbero le 12 tavole sacre di 'ndrangheta, ieri è partita verso la chiesa parrocchiale di San Luca l'effige sacra della Beata vergine con Gesù bambino, così come apparsa secondo tradizione ottocento anni fa a un pastorello mentre dissotterrava una croce greca arrugginita, non troppo lontano dal Santuario "messo in sicurezza antisismica" grazie ai fondi del Pnrr.
In queste ore a benedire "la casa della Madre di Dio profanata troppe volte da interessi mafiosi senza scrupoli, senza legge né onestà" ci sarebbe dovuto essere il presidente della Cei monsignor Matteo Maria Zuppi, qualche giorno fa è saltato tutto perché nonostante l'impegno della Regione Calabria e dei commissari prefettizi che governano San Luca, Comune simbolo della 'ndrangheta e dei sequestri, l'ultimo miglio di strada che unisce i due percorsi possibili dal paese della faida e dal casello di Cano non è sicuro. In quattrocento anni non lo è stato veramente mai, tra dirupi e strapiombi in cui si passa a malapena, chi l'ha camminata per cinque ore tra "saliscendi, cambi di versante, guadi di torrenti e paesaggi mutanti", come l'autore di Anime nere Gioacchino Criaco lo sa benissimo. E così i fedeli sono impazziti, forse sobillati dai boss, chi lo sa. Dalle parole si è passati alle minacce di morte contro il rettore di Polsi don Tonino Saraco e il parroco di San Luca don Gianluca Longo, che dal 2017 provano a strapparlo ai boss. Le alternative proposte - la "straniera" Locri e lo stadio di San Luca, inaugurato da una partita tra politici e toghe e già mezzo sfasciato - sui social hanno partorito solo insulti e offese nei confronti del vescovo Francesco Oliva, cui è toccato l'amaro calice della scelta finale.
Isanlucoti festeggiano e si preparano ad accogliere i fedeli, sono i veri vincitori. "È stato un errore gestirlo sulla testa delle persone, succede quando l'azione repressiva su un luogo che certamente risente di uno stigma mafioso documentato dai fatti è incapace di distinguere il grano dall'oglio", ci sussurra un magistrato antimafia che da quelle parti è ormai di casa. "Una gestione anaffettiva del territorio produce queste distorsioni", sottolinea al Giornale il massmediologo anti 'ndrangheta Klaus Davi. L'Aspromonte è un Vesuvio che dentro ribolle, è la nostra Gaza ostaggio di mistiche religiose e violenze ataviche che si mescolano, dove nessuno vuole andare neanche in campagna elettorale, a nulla servono iniziative culturali come mettere in scena la Canzone d'Aspromonte, prequel dell'Orlando furioso (ri)scoperto da Carmelina Sicari.
Lo Stato e la Chiesa si nascondono dietro la burocrazia per non dover guardare in faccia i mafiosi, che senza il controllo ossessivo su questa terra sarebbero appunto anime nere, come la cenere dell'incendio che manine impunite innescarono qualche anno fa, cancellando alberi e memorie secolari dall'Aspromonte. E da oggi anche la fede.