
Nel gran rumore delle minacce di dazi e dei botta e risposta tra Bruxelles e Donald Trump, è passata sotto traccia una dinamica ben più pericolosa per l'industria europea. Mentre i politici si interrogano se blandire o sfidare Washington, il commercio con la Cina sta subendo un'accelerazione in grado di ridisegnare gli equilibri industriali del continente. Il secondo shock cinese non è più una previsione: è già qui, e si è intensificato proprio all'indomani delle minacce tariffarie di Trump.
I dati parlano chiaro. Dopo il 2 aprile, quando la Casa Bianca ha ventilato un embargo quasi totale sui beni cinesi, le esportazioni di Pechino verso l'UE sono salite dell'8,3% su base annua in un solo mese, per poi accelerare al +12% a maggio. Nello stesso periodo, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti crollavano del 34,5%. Un effetto di deviazione di flussi che ha avuto un picco clamoroso nei robot industriali: nei primi sei mesi del 2025, le importazioni europee dalla Cina in questo segmento sono aumentate di quasi otto volte, con un calo medio dei prezzi del 29%.
È vero che una parte di questa ondata è legata allo scontro commerciale di primavera, poi rientrato. Ma non tutto si spiega così. Da tempo si registra un aumento strutturale delle importazioni europee dalla Cina e un crescente deficit commerciale. Secondo uno studio dell'IW di Colonia, tra il 2020 e l'inizio del 2025 i prezzi alla produzione nell'Eurozona sono saliti del 35%, mentre in Cina sono rimasti pressoché invariati. Il risultato è stato un apprezzamento reale dell'euro sullo yuan di oltre il 40%, spinto prima dai colli di bottiglia post-Covid e poi dalla crisi energetica esplosa dopo l'invasione russa dell'Ucraina.
Ma la divergenza di prezzi è solo una parte della storia. In settori chiave come l'auto elettrica la robotica Pechino ha adottato una politica industriale iper-aggressiva: moltiplicare aziende e capacità produttiva fino a innescare guerre di prezzo interne, per poi riversare l'eccesso di offerta sui mercati esteri. È un modello cento fiori che, in pochi anni, ha triplicato il numero di aziende cinesi attive nella robotica intelligente.
A confermare l'assertività di Pechino arriva anche il salto di qualità nel controllo delle filiere. Dopo aver conquistato marchi iconici dell'elettronica, ora punta alla distribuzione. Il colosso JD ha rilevato il controllo della tedesca Ceconomy, proprietaria di oltre mille punti vendita MediaMarkt in Europa e di 144 negozi in Italia con il marchio MediaWorld. Una mossa che non solo rafforza la presenza cinese nei canali di vendita al dettaglio, ma spalanca le porte a una penetrazione ancora più capillare dei suoi prodotti sul mercato europeo.
Per l'Europa, il tempo delle illusioni è
finito: o si rivede la strategia industriale adottando strumenti come il Golden Power e i dazi in maniera estensiva, o il secondo shock cinese rischia di trasformarsi in un colpo definitivo alla sua centralità manifatturiera.