Magistratura

Quella sentenza che abbatte le barricate contro la prima riforma garantista

Tra i politici interviene Renzi: "Adesso spero che Davigo la smetta di fare la morale agli altri durante i talk show televisivi"

Quella sentenza che abbatte le barricate contro la prima riforma garantista

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La condanna di Piercamillo Davigo per rivelazione di segreto d'ufficio ha pochi precedenti e avvera una doppia profezia. Quella di Francesco Cossiga («Finiranno per arrestarsi tra di loro») e quella di Silvio Berlusconi sull'uso politico della giustizia, proprio mentre in Parlamento si discute la riforma su intercettazioni, informazione di garanzia e misure cautelari. Senza la stretta su manette facili, condanne anticipate a mezzo stampa e sputtanamento sui giornali, persino la Prima repubblica sarebbe malconcia ma ancora in piedi.

È un cerchio che si chiude, e con esso anche un ciclo politico. Davigo era l'ispiratore dell'estensione dell'uso dei trojan ai reati di corruzione nella Pubblica amministrazione contenuta nella «Spazzacorrotti» firmata dall'ex Guardasigilli M5s Alfonso Bonafede che tanti guasti ha creato (senza portare a casa condanne eccellenti), ed è finito stritolato dal pasticciaccio delle chat di Luca Palamara - cacciato dalla magistratura per molto meno, una specie di reato di cena - che ha disvelato le trame dei sedicenti pm integerrimi e dai veleni del caso Eni-Amara-Milano che hanno infangato il suo ex amico e collega di corrente Sebastiano Ardita, ieri dignitosamente in silenzio a godersi la vittoria.

Per le toghe più belligeranti è uno schiaffo definitivo, che rischia di ricacciare nell'oblio i pochi (e chiacchieroni) magistrati ed ex pm che si sono esposti in prima fila per criticare la riforma garantista che il centrodestra porta in Parlamento in ossequio al suo programma elettorale. «Questa riforma nuoce a tutti i cittadini, coinvolti o meno in un processo, e giova solo ai responsabili di molti reati, soprattutto quelli dei cosiddetti colletti bianchi», è la tesi dell'ex procuratore di Torino Armando Spataro. «Peggio, la riforma Nordio ha il sapore di un regolamento di conti con la magistratura», dice l'ex pm Antonino Ingroia. Rantoli di un mondo che tra le toghe non ha più cittadinanza, stando agli equilibri sanciti dalle elezioni al Csm che hanno visto trionfare i moderati di Mi.

Poche le reazioni del mondo politico alla condanna dell'ex simbolo di Mani pulite. «Non so se Davigo continuerà a fare la morale agli altri su La7 in vari talk-show (come ha fatto ieri sera, ndr) la sua condanna non mi farà diventare giustizialista ma spero almeno che smetta di esserlo lui», twitta il leader di Italia Viva Matteo Renzi. «Da ottimisti e da garantisti speriamo che il noto magistrato Davigo possa essere assolto in appello. Ma di fronte a questi fatti rivendichiamo, con orgoglio, l'iniziativa a favore della libertà e della democrazia sulle scalinate del Tribunale della Procura di Milano, quando chiedevamo una giustizia giusta e trasparente».

Ecco perché la riforma è destinata a un iter tutto sommato agevole, forte delle convergenze di una grossa parte dell'opposizione su alcuni temi. «Oggi non ci sono tempi certi, sanzioni certe e tutela della libertà personali, imprenditoriali e individuali», dice Matteo Salvini a Radio24, definendo «priva di fondamento» la ricostruzione del Corriere della Sera sui dubbi della Lega su Nordio, smentiti sullo stesso quotidiano anche dalla presidente della commissione Giustizia del Senato Giulia Bongiorno: «Sui provvedimenti c'è condivisione, è fisiologico che il ministro si confronti con i responsabili Giustizia della maggioranza». Sui tempi interviene il ministro ai rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani: «Saranno stabiliti dal Parlamento, certamente non saranno compressi, poiché il tema merita un approfondimento completo, con un dibattito». In mezzo resta il Pd, dilaniato - oltre che su Pnrr e maternità surrogata - anche sull'abuso d'ufficio, con la stragrande maggioranza dei suoi sindaci a prendere le distanze dai distinguo di Elly Schlein. «I dirigenti del Pd non hanno diritto di parlare, hanno assistito al calvario di 5mila persone risultate innocenti, non ha diritto a parlare chi non ha capito che l'abuso in atto d'ufficio va eliminato», dice in serata il governatore campano Pd Vincenzo De Luca.

Se la Schlein perde anche gli amministratori, che cosa resterà? Sotto il vestito (armocromatico), niente.

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