Guerra in Israele

"Serve una grande vittoria. Hezbollah primo obiettivo"

L'ex consigliere di Washington: "Colpiti al cuore, dobbiamo attaccare Beirut e spaventare Teheran. Gaza? Va occupata"

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David Wurmser aveva un biglietto per tornare a casa a Washington, tre giorni fa. Era a Gerusalemme in visita d'affari, subito cancellata con l'avvento della guerra. Ma l'ex consigliere strategico del vicepresidente Dick Cheney e poi di John Bolton, che era allora consigliere del presidente per la sicurezza, ha deciso di perdere il volo.

Come mai è ancora qui?

«Credo in Israele, ho sentito subito il bisogno di trovare una mia forma di solidarietà, resterò finché ci saranno di nuovo i voli per gli Stati Uniti».

Andiamo diritti al cuore del problema. Come deve svolgersi questa guerra, dove deve portare?

«Le confesso che ieri, quando lo scontro col Libano è sembrato vicino, ho pensato che prima di tutto si dovesse affrontare il problema degli Hezbollah e dopo, in maniera definitiva, Hamas».

Perché quest'idea? Sia il governo israeliano che il governo americano si sono pronunciati per tenere gli Hezbollah fuori. Questo significa anche allontanare la presenza dell'Iran.

«Il colpo che Israele ha subito lo scorso sabato fa nascere questioni molto serie fra tutti quelli che vogliono la pace sia fra gli arabi, sia fra gli alleati come gli Usa e l'Europa che ancorano il rapporto nella sicurezza e negli interessi. Un colpo all'idea che Israele sia forte e organizzata. La sconfitta è stata così terribile che ora lo sforzo deve essere posto nella riconferma della forza e della solidità».

Perché suggerire lo scontro con gli Hezbollah?

«Perché la vittoria di Israele adesso deve essere grande, geopolitica, straordinaria persino traumatica, tale da cancellare tutti I dubbi. Ora, se Israele sconfigge Hamas e rioccupa Gaza, questo non copre il profonda sconfitta».

Che vuol dire la «profonda» sconfitta?

«Questa guerra è solo in parte con Hamas. L' Iran ha stretto Israele all'angolo, ora Israele deve stringere all'angolo l'Iran. Questa guerra deve avere un effetto geostrategico. Si deve andare oltre Gaza».

Perché prima Hezbollah?

«Israele deve fronteggiare gli Hezbollah, essi sono Hamas all'ennesima potenza, anche nella crudeltà terrorista: meglio armati, più numerosi, i pupilli sciiti dell'Iran. La guerra esclusiva contro Hamas, li spingerà a saltare sul campo, indisturbati. Invece, se Hezbollah fosse affrontato e sconfitto, anche Damasco che dipende dal suo sostegno verrebbe scardinato, un colpo sulla scacchiera dell'Iran».

Oa la mobilitazione è tutta per Gaza.

«A Gaza si tratta di sgonfiare l'eccitazione palestinese e di tutti gli estremisti: per farlo si deve scardinare Hamas, la sua sfrenatezza».

E quindi lei vede necessaria un'occupazione?

«È necessario tutto quello che serve a porre fine al potere di Hamas. L'esercito dovrà restare sul campo finché Hamas sia cancellata. Israele deve controllare ogni area dove Hamas può ristabilirsi».

Come vede i corridoi umanitari, per salvare i civili e per consentire una trattativa sugli ostaggi?

«Temo che Hamas li userebbe per consegnarli magari all'Iran, come è già successo, e allora non li vedremo mai più. E per ristabilire un potere che usa i suoi come scudi umani».

Dunque?

«Questa guerra che è cominciata come nel 1973, e continua come nel 1948, deve finire come quella del 1967. Una grande vittoria. O Israele è nei guai. Se Israele cede, la popolazione si infurierà. Non dobbiamo lasciare al nemico la forza di attaccarci».

Rovesciare l'umiliazione è una vittoria tattica, non una vittoria definitiva su un nemico che resta minaccioso.

«Il paradigma dell'Iran non è cambiato, lo vedono ancora come qualcuno con cui si può venire a termini per calmare la situazione in Medio Oriente. Pensano che dobbiamo andarci d'accordo per calmare Hamas e gli Hezbollah, ma è vero il contrario. Questa guerra deve finire con l'Iran spaventato e in ritiro».

Israele non combatterebbe meglio con l'aiuto che gli sa sembrano davvero voler fornire?

«Sarebbe terribile se gli Usa combattessero quando tutti pensano che Israele sia debole: se accettasse l'aiuto straniero confermerebbe il sospetto che non sa difendersi. Non ha chiesto aiuto nel 48, nel 56, nel 73, quando la situazione era molto peggio. Accettare un aiuto militare devasterebbe il morale la sua immagine negli Stati Uniti e farebbe a pezzi i progetti di chi ci vuol fare la pace in Medio Oriente, come i Paesi dei Patti di Abramo. L'imperativo è che l'umiliazione sia spazzato via.

Sarebbe un danno all'idea dello Stato ebraico stessa: gli ebrei non devono cercare l'aiuto di nessuno per difendersi».

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