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Sesta sconfitta di fila dell'asse giallorosso. Fallisce il nuovo "stress test" dell'alleanza

L'ultima affermazione del "campo largo" risale al 2015, con la Campania

Sesta sconfitta di fila dell'asse giallorosso. Fallisce il nuovo "stress test" dell'alleanza

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Con il trionfo di ieri in Molise di Francesco Roberti alle Regionali, il centrodestra completa l'ein plein delle sfide elettorali negli ultimi nove mesi. Gli straordinari risultati raggiunti nelle varie competizioni tenute nei seggi dallo scorso autunno ad adesso dalla coalizione che guida il governo nazionale sono infatti impressionanti dal punto di vista politico.

Se il voto per il rinnovo del Parlamento del 25 settembre 2022 - che ha consegnato le chiavi di Palazzo Chigi nelle mani di Giorgia Meloni - aveva aperto la lunghissima serie di vittorie a favore dell'alleanza composta da Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia, il consenso consolidato nella regione molisana può regalare ulteriore spinta propulsiva all'azione dell'esecutivo nazionale. Nel mezzo, sono state le sfide per Lombardia e Lazio (metà febbraio), Friuli-Venezia Giulia (inizio aprile) e per i 110 comuni con più di 15mila abitanti (maggio) a mettere in chiaro come il centrodestra unito abbia sempre sbaragliato la concorrenza, strappando roccaforti rosse che sembravano irraggiungibili come Ancona, l'unico capoluogo di Regione andato al voto nella scorsa primavera.

I «freddi» dati numerici provenienti dalle urne in questi ultimi 270 giorni abbondanti ci forniscono altri elementi, oltre alle cinque affermazioni su cinque per le forze moderate tra elezioni politiche e locali. Con il voto in Molise, bisogna difatti segnalare il sesto successo regionale consecutivo per la maggioranza: una striscia iniziata nell'ottobre 2021 con il forzista Roberto Occhiuto - che si era imposto in Calabria -, proseguita undici mesi dopo con la Sicilia grazie a Renato Schifani, fino ad attraversare i successi ottenuti da Attilio Fontana, Massimiliano Fedriga e Francesco Rocca rispettivamente in Lombardia, Friuli e Lazio. Con quest'ultimo ente amministrativo strappato al dem Nicola Zingaretti, il centrodestra amministra ora 15 regioni, contro le sole quattro guidate dalla sinistra.

Il Partito Democratico non festeggia un'elezione regionale dal settembre 2020, quando era riuscito a conservare Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia, pur senza l'ausilio grillino.

Se si andasse poi a verificare l'ultima volta in cui l'alleanza rossa è riuscita a espugnare una regione in mano avversaria, bisognerebbe risalire addirittura a otto anni fa. Era infatti la notte del 31 maggio 2015, quando Vincenzo De Luca vinse in «trasferta» nella Campania di Stefano Caldoro. Era ancora il Pd guidato da Matteo Renzi: politicamente parlando, un'era geologica fa.

L'altra faccia della medaglia è anche ben plasticamente rappresentata dai pessimi risultati del cosiddetto «campo largo» dei giallorossi. In Molise, Conte lascia per strada ben quattro voti su cinque presi cinque anni fa.

Inoltre, su sei candidati governatore sostenuti unitariamente da dem e Movimento Cinque Stelle, sono arrivate altrettante (pesantissime) sconfitte. La prima unione tra i due per una competizione regionale avvenne in Umbria nell'ottobre 2019, con Vincenzo Bianconi sonoramente battuto dalla leghista Donatella Tesei.

Poi, solo altre disfatte: in Liguria (con Ferruccio Sansa annientato da Giovanni Toti), Calabria (Amalia Bruni), Lombardia (Pierfrancesco Majorino), Friuli (Massimo Moretuzzo) e infine ieri in Molise (Roberto Gravina).

Segno evidente che non può bastare un caffè in un bar di Campobasso tra Giuseppi, Schlein e Fratoianni per essere competitivi.

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