
Norbert Niederkofler ha imparato a essere italiano abbastanza tardi nella sua vita. Anzi, nella sua seconda vita. La prima è stata quella di giovane promessa dello sci negli anni Settanta, scelta non difficile per uno nato a Lutago in Valle Aurina. A 17 anni muore il papà e lui molla le discese ardite, vuole lasciare quella terra, girare il mondo e decide che la strada migliore è provare a fare il cuoco. Cos', "de botto". E il mondo lo gira, nella sua seconda vita, Monaco di Baviera, Londra, Zurigo, New York. A 34 anni torna in Italia, passa brevemente per Milano dove impara l'italiano e soprattutto impara a essere italiano ("grazie a Giancarlo Morelli", confessa) e poi torna nel suo Alto Adige.
Norbert ha un cognome difficile, per questo preferisce la sigla NN e parla con me in un italiano di ladina efficienza: scarno, pulito, dritto al punto. Racconta di quando il critico gastronomico Edoardo Raspelli mangiò da lui e poi scrisse così: "Antipasti ottimi, secondi ottimi, dolci ottimi, ma le paste sono fatte da un tedesco". Lui se la prese, rosicò, poi si mise sotto a imparare e oggi risotti e paste sono tra le cose che gli chiedono di più. Capirò mangiando che è vero.
Nel suo Alto Adige NN, nel mezzo del cammino della sua vita, inizia a farsi notare: dapprima a Ciastel Colz, poi nel 1996 arriva alla corte della famiglia Pizzinini all'hotel Rosa Alpina di San Cassiano, nel ristorante St Hibertus. Gli mettono a disposizione tutto quello di cui ha bisogno per far bene, e lui cresce: prende la prima stella Michelin nel 2001, la seconda nel 2007, e inizia a pensare come può arrivare, lui così lontano da tutto, alla terza. E capisce che questo può avvenire soltanto inventandosi una vera cucina del territorio. Nasce così "Cook the Mountain", il manifesto che anticipa il tema della vera sostenibilità: non uno slogan d'alta quota ma una riflessione sullo sviluppo economico-sociale realizzato "indagando i rapporti tra produzione, prodotto, territorio e consumo. Punto di partenza di questo cambiamento dev'essere la cucina, intesa come catalizzatrice di processi culturali per la diffusione di un modello di sviluppo sostenibile. In quest'ottica il cuoco deve assumersi il ruolo di educatore emozionale, capace di promuovere un nuovo stile di vita". Ecco così che cucinare la montagna diventa non solo un modo per dare ai clienti qualcosa di veramente unico, ma uno strumento ideologico per riscoprire le sue radici, per valorizzare il locale, rispettare la biodiversità, diffondere i prodotti biologici e a chilometro zero e i principi del vivere lento seguendo la stagionalità. Ah, poco dopo l'adozione di Cook the Mountain la terza stella per Norbert arriva, eccome se arriva. Anche se i primi tempi i giornalisti gli dicevano: "Ma chi te lo fa fare?". Brutta razza, i giornalisti.
In tutti i ristoranti di Norbert si seguono rigorosamente questi principi: ingredienti rigorosamente del circondario, prodotti da artigiani che Norbert conosce di persona e che interpreta come vere sentinelle del territorio. Se una cosa in Alto Adige non c'è, semplicemente non si usa. E poi stagionalità, quattro menu l'anno, e zero sprechi. Si seguono all'AlpiNN di Plan de Corones, uno spettacolare stambecco architettonico accanto al museo della fotografia LUMEN, si seguono all'Ansitz Heufler a Rasun di Anterselva, di cui parliamo nel box qui sotto, e si seguono soprattutto all'Atelier Moessmer di Brunico, il bellissimo ristorante che costituisce la scatola nera del sistema Niederkofler. Qui, negli spazi ricavati da uno storico lanificio, Niederkofler ha trasferito il suo pensiero e la sua brigata dopo aver lasciato il St Hubertus all'incirca tre anni fa. Ma niente paura: qui Norbert è ancora più libero - e sarà per questo che appare negli ultimi tempi più loquace e con tracce incipienti di simpatia.
Quando entri all'Atelier Moessmer ti portano subito in un cortile, dove ti servono un piccolo aperitivo che ben ti dispone a tutto quello che avverrà dopo. All'interno il ristorante è diviso in due spazi: i tavoli tradizionali e una grande sala dove si trova la cucina attorno alla quale corre un lungo bancone ad angolo per coloro che hanno piacere a vedere il proprio pasto farsi davanti agli occhi. E il volteggiare di una brigata efficiente è una coreografia sempre affascinante, che piace a molti, sopratutto a chi, mangiando da solo come me, è in cerca di spettacoli su cui posare gli occhi.
Il maître Lukas Gerges mi porta il menu, il "Cook the Mountain", appunto: costa 320 euro e comprende una lista di piatti definiti soltanto per l'elemento principale. Per fare alcuni esempi: Trota è una trota bianca marinata in sale di erbe di montagna con semi di senape, fragole verdi e una salsa all'acqua pazza per la qualle Norbert e il suo sous chef Mauro Siega utilizzano al posto dell'acqua di mare, che qui non c'è, la sapidità del sale minerale dolomitiche e la balsamicità delle erbe di montagna. Un esempio di che cosa voglia dire cucinare senza. Senza agrumi, senza caviale, senza crostacei, senza cioccolato, senza vaniglia, senza olio d'oliva, senza frutti tropicali. Senza. E senza un'intera stagione, l'inverno, in cui la terra qui ha da elargire solo patate, cavoli, rape e in cui si utilizzano prodotti della bella stagione conservati, preservati, fermentati.
Eppure tutto riesce a essere convincente, buonissimo, maestoso, direi. Fa fede il Risotto cotto con base di latticello che viene infuso con delle erbe e mantecato con una formaggella acida, crema di zucchine alla scapece, erbe selvatiche, e l'amarognolo del levistico.
E il notevole Diaframma di manzo grigio alpina condito con gli scarti della fermentazione della birra, e poi uva spina a dare una nota acida, il lardo dei maiali neri alpini stagionato quasi sei mesi, un pesto fatto con dello scalogno e del porro e una crema a base di yogurt di capra e aglio selvatico. Una montagna di sapori, ma proprio una montagna.