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Sfila mezzo governo per sanare la ferita. Quel sinistro tabù rotto da Cossiga e distrutto da Mattarella

La lacrima che riga la guancia di Giorgia Meloni non è la trovata ad effetto di una consumata attrice politica, ma un vero momento di commozione per migliaia di vittime italiane a lungo di serie B

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La lacrima che riga la guancia di Giorgia Meloni non è la trovata ad effetto di una consumata attrice politica, ma un vero momento di commozione per migliaia di vittime italiane a lungo di serie B. A Basovizza è il primo presidente del Consiglio che ricorda il 10 febbraio davanti all'unica foiba monumento nazionale. E con lei c'è mezzo governo, che dimostra come una pagina strappata di storia patria sia tornata al suo posto. Giorgia è venuta a Basovizza da ragazza, giovane attivista, quando c'era tutto da perdere e niente da guadagnare a rendere onore ai martiri delle foibe.

Ieri ha voluto esserci anche Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, che alla redazione romana del Giornale di Montanelli metteva in pagina, cominciando a rompere la coltre di silenzio sui crimini di Tito, gli articoli sul dramma degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Gennaro Sangiuliano, anche presente, ha da poco fatto approvare dal governo il progetto del primo, importante, museo dedicato alle foibe e all'esodo che sorgerà a Roma.

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, pordenonese, è di casa da sempre, il 10 febbraio, a Basovizza. E c'è pure il responsabile dello Sport, Andrea Abodi, che dopo la cerimonia alla foiba ha inaugurato con Meloni il treno del Ricordo partito da Trieste.

Il primo a rompere il tabù di Stato inginocchiandosi davanti alla foiba di Basovizza, è stato il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, nel 1991 immortalato in una storica foto in bianco e nero. Il giorno dopo dichiarava: «L'attuale regime italiano è dominato... da quella pseudo cultura democratica che ci è stata propinata per quarant'anni in modo egemonico Tanto per intenderci quella cultura che mi ha impedito fino a domenica scorsa di andare a Basovizza».

Un'altra immagine, davanti alla foiba, che resterà nella storia, è il capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella, che nel luglio 2020 si tiene per mano con il presidente sloveno, Borut Pahor, il primo dell'ex Jugoslavia. Un altro, fondamentale, passo avanti di riconciliazione e rispetto per le vittime di una pulizia etnica e politica dei comunisti di Tito, che hanno infoibato non solo gli italiani, ma oltre centomila connazionali sloveni, croati e partigiani serbi.

La presenza di mezzo governo a Basovizza dovrebbe anche essere di esempio a chi ancora snobba o sottilmente boicotta le cerimonie del 10 febbraio, come continua a capitare nelle regioni in parte rosse o nelle scuole dove non manca la melina del riduzionismo o del giustificazionismo.

A Basovizza bisogna continuare sulla strada delle visite di peso, che hanno un valore non solo simbolico, ma storico, invitando il presidente croato e un domani quello serbo, in nome di un'Europa veramente unita anche sul tragico ricordo di crimini di guerra compiuti in tempo di pace, che lasci per sempre alle spalle tutti gli orrori del 900.

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