
C'era una volta il Giornale "e grazie a Dio - dice il direttore Alessandro Sallusti - dopo cinquant'anni c'è ancora". Mezzo seolo di storia, da Indro Montanelli ad oggi. Proprietà che cambiano, insieme a giornalisti e direttori. Ma, dopo dieci lustri, l'anima resta la stessa. E questa è la cosa che più conta. È su questo tema che si sono confrontati, oltre al direttore Sallusti, il politologo ed editorialista Giovanni Orsina e il filosofo e scrittore Stefano Zecchi guidati da Luigi Mascheroni. L'occasione era la conclusione, in una delle sale di Palazzo Giureconsulti, delle celebrazioni iniziate il 24 giugno di un anno fa. "Questo giornale è una di quelle esperienze che ti segnano - ha esordito Sallusti - In casa iniziai a leggerlo quando ancora ero un quindicenne e quando ho avuto l'età per votare mi sono ritrovato a votare Dc, pur turandomi il naso, dopo aver letto un editoriale di Montanelli. Capii che i percorsi non sono mai linee rette e che in politica si possono fare anche alleanze anomale per contrastare l'avversario". Anche Zecchi ha ricvordato gli esordi con Montanelli: "Mi invitò a collaborare. In quegli anni non era facile firmare sul Giornale, insegnavo a Padova e andare in università portandolo sottobraccio era piuttosto impegnativo, anche se io lo mostravo come una bandiera. Dei contestatori, veri delinquenti, me ne fecero di tutti i colori". Non erano anni facili, quelli, ha sottolineato Orsina: "L'Italia si era fortemente spostata a sinistra su un terreno prima culturale e poi politico. Diventava difficile avere posizioni controcorrente e si rischiava di venire minacciati o peggio. Quella di Montanelli fu una scelta coraggiosa, trasformando il Giornale in un baluardo di libertà. In quella fase però c'era anche un Paese profondo e consistente che contrastava la deriva di sinistra, perché l'Italia è un Paese moderato. Il Giornale divenne così il catalizzatore di una grande area di lettori ed elettori". Ma quello era solo l'inizio. "Con l'arrivo di Vittorio Feltri le copie raddoppiarono" racconta Sallusti, perché un imprenditore di nome Silvio Berlusconi intuì la stessa cosa. Il centrodestra è un insieme di fattori che non potrebbero stare necessariamente insieme, ma il Cavaliere riuscì a farlo per battere la sinistra, così come Montanelli aveva capito che bisognava votare la Dc, pur turandosi il naso, per sconfiggerla". E ancora: "Berlusconi non comandava ordinando. In quasi 15 anni di frequentazione non ho mai ricevuto un ordine. Ti chiamava e smontava tutte le difese con la sua grande gentilezza, poi ti ricordava che, nel ruolo di direttore, potevi scrivere quello che volevi, infine ti raccontava la sua visione e, a quel punto, non solo ti ammaliava ma ti convinceva persino del fatto che avesse ragione lui". Sulla figura di Berlusconi si è soffermato anche Orsina: "È fortemente identificato con la tv perché ha reinventato un rapporto tra leadership, mezzo televisivo e linguaggio. Ma è stato anche tante altre cose, tra cui il conservatore principe di un'area culturale. In questo contesto Il Giornale ha avuto una posizione centrale". Forse, si potrebbe sintetizzare la storia del quotidiano usando solo una parola: libertà. Come ha ricordato Zecchi, "nelle università ho sempre insegnato a essere liberi, a ragionare con la propria testa. Non era facile destreggiarsi, ma non mi preoccupavo di portare le mie idee". E poi: "Nella seconda vita, essere al Giornale con Sallusti e Feltri ti dava un senso di dignità. Anche con Montanelli, ma con lui erano altri tempi e si stava sempre con l'elmetto". E, ora che i quotidiani sono in crisi, che fare? Sallusti non ha dubbi: "I giornali di carta sopravviveranno. Non saranno magari più dei mezzi che raggiungono la maggior parte del pubblico, ma garantiranno tutti gli strumenti multimediali. I siti e i social più visitati sono quelli dei giornali cartacei perché il quotidiano è una garanzia di identità, di qualità e di rigore. Noi che facciamo informazione siamo in difficoltà perché non abbiamo ancora completato questo passaggio e, a volte, inseguiamo l'attualità come si faceva un tempo. Ma i nostri stessi siti sono già andati oltre. E allora immagino giornali di opinioni, che danno per scontato che le notizie siano già state lette". Del resto, ha rilanciato Orsina, "uno studio recente dice che sta aumentando la durata media dei video su YouTube, che gli stessi social stanno cambiando e che c'è una richiesta nuova di contenuti approfonditi.
Il punto è capire come ricostruire un modello di business per l'editoria attraverso questi sistemi. Sarà un processo complesso". Per Zecchi, infine, "il giornale di carta resterà, pur modificandosi: ci muoviamo verso una democrazia sempre più elitaria e queste élite leggeranno i giornali".