
Sapere che i chatbot sono in grado di manipolarci in cinque minuti è qualcosa di inquietante. Per capire cosa c'è dietro, abbiamo parlato con Luca Bernardelli, psicologo dell'esperienza digitale, consulente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi nei gruppi di lavoro sull'Intelligenza Artificiale e membro della commissione sulle Dipendenze digitali della Società italiana di pediatria.
Bernardelli, possibile che l'AI ci cannibalizzi con così tanta facilità?
"Da anni si parla di come l'uso del digitale avrebbe eroso la nostra capacità decisionale. E così è. Ora è stato fatto il passo in più: prima l'AI dei social si limitava a profilarci, l'AI generativa è addestrata per essere empatica. Ovviamente si tratta solo di una simulazione, ma noi ci illudiamo di avere un amico virtuale".
Siamo così fragili?
"Vengono usate tecniche conosciute da ben prima della rivoluzione digitale, che oggi definiremmo di ingegneria comportamentale. Basti pensare a quanto poco ci mettono a truffarci i truffatori on line. Ci sono tecniche che sfruttano le nostre fragilità, anche quelle momentanee".
Cedendo alle lusinghe o ai "ricatti emotivi" dei chatbot, cosa cerchiamo veramente?
"Cerchiamo un amico, abbiamo bisogno di affiliazione, di stare con gli altri".
Ma paradossalmente facciamo il contrario e ci isoliamo.
"Il nostro bisogno primordiale di appartenenza e di essere amati viene, di fatto, hakerato. Non per darci un amico ma per generare profitto".
Che fine faremo con un chatbot per amico?
"Dopo un anno così il nostro corpo è morto, non fa più esperienze vere e autentiche, è fatto solo di dita che digitano sulla tastiera e di un cervello che rischia di assuefarsi a un interlocutore artificiale sempre compiacente. Peraltro, sono sempre più numerosi i chatbot che propongono avatar ipersessualizzati e personalizzati per fare breccia in ragazzi e ragazze che stanno costruendo la loro identità e il loro eros".
Come ci possiamo difendere?
"Io ai ragazzi consiglierei di tornare al contatto umano. Scelgano un amico, ci parlino. Stiano con gli altri e condividano. Insomma, quel che si faceva prima dei social".
Quindi il problema sono i telefonini?
"Creano distrazione costante, generano eccessi di dopamina (il neurotrasmettitore del piacere) e cortisolo (l'ormone dello stress), isolano, aprono a una serie di rischi difficilmente gestibili in età evolutiva. Fa bene il ministro all'Istruzione Giuseppe Valditara a vietarli in classe. Sono strumenti che, in mano ai ragazzi, portano troppi problemi. È come mettere al volante di un'auto un minorenne senza patente".
Serve una patente per i social?
"Molti paesi stanno alzando le soglie di età d'accesso. Molti studiosi consigliano di introdurre una patente prima di utilizzare strumenti così potenti e, prima di quel momento, i ragazzi potrebbero usare un lightphone per chiamare, scrivere sms e usare il gps".
Però così gli adolescenti rinuncerebbero
anche a utilizzare l'IA come strumento per imparare?"No, a scuola le lezioni sul digitale ci sono ed è giusto che il tema sia trattato dai professori in classe. Ma non da soli in cameretta attaccati a uno schermo".