Il "sistema Milano" come il caso Genova: basta fare politica per essere criminali

Dazioni e incarichi alla luce del sole: le Procure estendono i confini dei reati

Il "sistema Milano" come il caso Genova: basta fare politica per essere criminali
00:00 00:00

Ora vedremo come reagiranno i partiti al commissariamento che la magistratura sta riservando alla politica, vedremo, cioè, se lo scandalo dell'urbanistica milanese si tradurrà solo in un piccolo commercio elettorale come fece la sinistra col "sistema Genova" di Giovanni Toti, e come potrebbe fare, ora, il centrodestra col "sistema Milano". I punti in comune sono molti: a Genova era accusato appunto un "sistema" che aveva ogni sembianza legale sotto il profilo penale ed economico, quindi una serie di "dazioni" che erano regolarmente registrate, mentre il resto erano incarichi e consulenze e appalti affidati per scelta politica; a Milano, ora, è la stessa cosa, nessuno parla di mazzette o di soldi che non siano alla luce del sole: solo di reati evanescenti come "false dichiarazioni su qualità personali proprie o di altre persone" oppure "induzione indebita a dare o promettere utilità" o generico "falso", mentre le dazioni sono, ancora, gli incarichi e le consulenze e gli appalti. A essere chiare sono solo certe espressioni dileggianti della procura: "Avidità", "spregiudicatezza", "modalità eversive", "vorticoso circuito di corruzioni", "professionisti e/o faccendieri". In pratica un sottobosco verticale, un fare politica e imprenditoria che è divenuto una potenziale "reiterazione del reato" o magari una famigerata "possibilità di un inquinamento delle prove" o un cosiddetto pericolo sociale che solo l'interdizione da cariche e incarichi possono interrompere: fu così per Toti, a Genova, ed è stato così per l'architetto Stefano Boeri a Milano, manca solo il pericolo di fuga: chissà se lo contesteranno a Manfredi Catella, fermato col figlio mentre prendeva un aereo per Londra.

A Genova e a Milano, ergo, amministrare equivale a delinquere, e a delinquere equivarrebbe il continuare a farlo: ciò che Milano, ossia, ha fatto meglio di ogni altra durante il Covid: Pil +8,7 per cento dal 2019 al 2023, con una disoccupazione scesa al 4,7 per cento. Il messaggio lanciato dalla magistratura, ancora una volta, è chiaro: neppure la politica delle carte e posto e dei soldi in chiaro è più sufficiente, non senza il vaglio di un presunto "terzo potere" che dietro il controllo di legalità si arroghi un ruolo da grande gendarme con cui scendere a patti. Ma non ci si riuscì a Genova e non è riuscito a Milano: ecco che allora che è esplosa l'accelerazione, lo scandalo, le perquisizioni, il linguaggio degli arresti, i pesi senza contrappesi, ecco che le edificazioni milanesi, nelle ordinanze, sono diventate d'un tratto "agglomerati edilizi".

Ora è normale che il riflesso condizionato dei partiti sia cannibalizzarsi a turno, e quindi, a Milano, limitarsi a dire che la giunta di Giuseppe Sala dovrebbe andare a casa. È comprensibile: a ogni scandalo c'è sempre una parte politica soddisfatta e affianco c'è un'altra, la magistratura, che peraltro si sente locomotiva delle altre procure al punto da intralciare quella vera, di locomotiva d'Italia. Non c'è limite all'arroganza di uno strapotere: solo durante i lavori per l'Expo la procura di Milano sembrò farsi più ragionevole. Intanto i giornali fanno la loro parte: ci ricamano, magari addirittura inventandosi (Corriere della Sera di ieri) che il modello Milano, inceppato, sia una sensazione "prevalente nell'opinione pubblica, ora anche a livello istituzionale".

E tutto può essere: ma è inevitabile ricordare il famoso decreto Salva-Milano (un anno fa) che dopo le prime indagini del 2023 puntava a far ripartire i progetti edilizi perché voleva estendere il modello meneghino a tutto il Paese; fu presentato alla Camera da Fratelli da d'Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati e

fu dapprima approvato anche da Pd, Azione e Italia viva. Mancava l'approvazione al Senato, e che cosa bloccò tutto? Un arresto della magistratura, naturalmente. C'è chi fa e c'è chi disfa, le sentenze sono per i posteri.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica