Guerra in Israele

Lo staff contro Biden e gli Usa spaccati: adesso Netanyahu rischia di restare solo

Un memo interno accusa la presidenza di diffondere "disinformazione", incolpando Israele di "crimini di guerra". Pesa il dissenso dell'elettorato dem e degli Stati arabi moderati

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Era probabilmente dai tempi della guerra in Vietnam che non si registrava una spaccatura così marcata all'interno di un'amministrazione Usa. La risposta militare israeliana agli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre divide l'opinione pubblica americana e si riflette all'interno dei dipartimenti del governo più esposti, condizionando anche la Casa Bianca. È Axios a rivelare che in un memo di «dissenso», sottoscritto da oltre un centinaio di funzionari del dipartimento di Stato e di Usaid (l'agenzia per lo sviluppo internazionale) Joe Biden viene accusato di «diffondere disinformazione» sul conflitto, nel quale Israele sta commettendo «crimini di guerra». Il documento di cinque pagine, che sarebbe dovuto rimanere riservato, è datato 3 novembre ed è nato dall'iniziativa di Sylvia Yacoub, una funzionaria dell'ufficio Affari Mediorientali, che sui social media aveva addirittura pubblicato un post pubblico (poi reso privato) nel quale accusava il presidente Usa di «complicità nel genocidio».

La «crisi di coscienza» di una parte del personale di Foggy Bottom, dopo che Politico la scorsa settimana aveva riferito di altre iniziative di dissenso, e dopo che a ottobre un funzionario con 11 anni di esperienza, Josh Paul, si era dimesso per protesta, è arrivata all'attenzione del segretario di Stato Antony Blinken, che in una mail al personale ha affrontato la questione. «So che per molti di voi, le sofferenze causate dalla crisi hanno un profondo impatto personale», ha scritto. E ancora, «vi ascoltiamo». Questo, prima di annunciare nuove sanzioni contro i leader e i finanziatori di Hamas, compresi Yahya Sinwar e Muhammed Deif, rispettivamente il capo politico e militare dell'organizzazione. Difficile valutare quanto l'insofferenza degli strati più liberal e progressisti degli staff ministeriali, che sono uno specchio di quella registrata anche nei campus universitari, con espliciti episodi di antisemitismo, stia condizionando la politica della Casa Bianca. Certo è che dopo i primissimi interventi di Biden, all'indomani del 7 ottobre, l'atteggiamento dell'amministrazione è andato via via modificandosi, spostando l'accento dal «diritto» e dalla «responsabilità» di Israele nel difendersi dalla minaccia di Hamas alla necessità di «rispettare il diritto internazionale» nell'azione militare, dando priorità alla sicurezza dei civili di Gaza, all'ingresso degli aiuti umanitari e alla liberazione degli ostaggi. Un approccio che appare confuso, quello della Casa Bianca, come viene rimproverato dai cronisti che prendono parte ai briefing quotidiani in sala stampa. E che ormai da settimane si riflette nel braccio di ferro quotidiano con Benjamin Netanyahu: dalle pause umanitarie, alle quali alla fine il premier ha acconsentito, al controllo di Gaza per il dopo Hamas, alla soluzione dei due Stati, che Washington vorrebbe rilanciare.

Un esempio evidente dei contrasti interni all'amministrazione si è avuto lunedì. Fonti di intelligence Usa, riprendendo quanto detto il giorno prima dal consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan (un «falco» secondo i progressisti) confermavano che Hamas aveva il suo centro di comando nei sotterranei dell'ospedale al-Shifa. Un via libera implicito all'assalto israeliano. Poco dopo, nello Studio Ovale, Biden dichiarava che «gli ospedali vanno protetti» e che non dovrebbero esserci «azioni militari invasive».

La necessità di Washington di contenere il dissenso di una parte dell'elettorato dem in vista del 2024 e, allo stesso tempo, di non rompere con gli Stati arabi moderati, fa fatica a coniugarsi con l'approccio da «guerra totale» finora mantenuto da Netanyahu, mentre Hamas continua a farsi scudo di decine di migliaia di civili a difesa dei propri tunnel.

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