Guerra in Israele

Stop ai negoziati per la tregua. Israele: "Colpa del voto Onu"

Il capo del Mossad lascia il Qatar, il leader di Hamas Haniyeh vola in Iran e torna a chiedere il ritiro dell'Idf

Stop ai negoziati per la tregua. Israele: "Colpa del voto Onu"

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Negoziati fra Hamas e Israele di nuovo al punto zero e nuove stilettate fra il governo Netanyahu e l'amministrazione Biden, nonostante la prima risoluzione per un cessate il fuoco a Gaza votata dall'Onu. Anzi - accusa Israele - proprio a causa di quella risoluzione, in cui l'astensione degli Stati Uniti è stata decisiva. David Barnea lascia il Qatar, dove le trattative andavano avanti da 8 giorni e avrebbe lasciato a Doha solo una piccola squadra del Mossad. I colloqui proseguono, dunque, ma le distanze si allungano invece che accorciarsi. Il primo ministro israeliano spiega che Israele non accetterà le richieste «estreme» di Hamas, dopo che gli estremisti della Striscia hanno respinto l'ultima proposta di tregua, e definisce il rifiuto la «sfortunata testimonianza del danno della decisione del Cds delle Nazioni Unite», che «non collega il cessate il fuoco al rilascio degli ostaggi». Gli estremisti hanno infatti annunciato che «manterranno la posizione originaria su un cessate il fuoco globale, che includa il ritiro delle truppe israeliane da Gaza, il ritorno dei palestinesi sfollati e un vero scambio di prigionieri». Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ieri in Iran dove ha incontrato l'ayatollah Khamenei mentre anche il leader della Jihad islamica Ziyad al-Nakhalah era a Teheran, soffia sullo scontro, rimarcando come il voto all'Onu dimostri un «isolamento senza precedenti» di Israele.

Si torna al punto di partenza, insomma. Con il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin, che nel frattempo ricorda al collega israeliano Yoav Gallant, in visita a Washington, come il numero delle vittime civili a Gaza sia «troppo alto e la quantità di aiuti umanitari troppo bassa». Ma se Israele attribuisce al voto dell'Onu un ritorno di Hamas alle sue posizioni più rigide, una fonte dell'amministrazione Usa smentisce la ricostruzione attraverso il Times of Israel, confermando le tensioni dopo lo strappo consumato all'Onu (la prima astensione americana su 53, in 50 anni, in un voto su Israele). Tramite una fonte «senior», Washington sottolinea che il no di Hamas è arrivato prima del voto delle Nazioni Unite, definisce «inaccurata» la dichiarazione di Israele e «ingiusta nei confronti dei familiari degli ostaggi». «Non ci muoviamo per interessi politici - è la replica che suona come un'accusa a Netanyahu - e restiamo focalizzati su un accordo per gli ostaggi».

La guerra a Gaza e l'invasione annunciata sulla città di Rafah rischiano di trasformarsi in una frattura profonda fra due leader, Joe Biden e Benjamin Netanyahu, a caccia di riconferma. Entrambi sanno che con il conflitto si giocano anche il futuro politico. Un sondaggio condotto a marzo dall'Israel Democracy Institute rileva che il 57% degli israeliani considera la performance di Netanyahu «scarsa o molto scarsa» contro il 28% che ritiene sia «buona o eccellente». Numeri che non faranno desistere Netanyahu, almeno per ora, dalla sua linea su Gaza. Nella Striscia, dove i morti sono oltre 32mila, l'Idf ha colpito oltre 60 obiettivi in 24 ore e i raid israeliani sulla città di Gaza e su Rafah avrebbero fatto ieri circa 50 morti. Almeno 18 palestinesi, secondi fonti di Hamas, sarebbero rimasti uccisi tentando di recuperare gli aiuti umanitari, 12 annegati in mare. Il gruppo preme per l'apertura dei valichi terrestri e rema contro gli aiuti dal cielo, definiti «violenti e inutili». Ma il premier israeliano è inflessibile: «Continueremo a lavorare per distruggere le capacità militari e di governo di Hamas».

Ieri Israele ha anche effettuato il più profondo attacco e uno dei più intensi - a 110 chilometri dalla frontiera - contro gli estremisti Hezbollah in Libano, che hanno lanciato 50 razzi contro una base israeliana.

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