Sulla patria potestà i giudici sbrigano il "lavoro sporco" che la politica non fa

Sono i tribunali dei minori a intervenire per l'esposizione dei minori ai reati

Sulla patria potestà i giudici sbrigano il "lavoro sporco" che la politica non fa
00:00 00:00

C'è una Giustizia che supplisce, non richiesta, alle scelte politiche (urbanistica a Milano, infrastrutture a Genova e immigrazione in tutto lo Stivale) e c'è una Giustizia che supplisce alle scelte che la politica non fa colpevolmente: si va dai temi etici (fine vita) alla facoltà di togliere dei bambini a dei genitori che non li mandano a scuola e li lasciano delinquere. Ed eccoci al caso milanese dei ragazzini bosniaci (rom) che hanno preso un'auto e l'hanno lanciata contro una donna di settantun anni, ammazzandola sulle strisce pedonali. Sono perlopiù i tribunali dei minori a togliere la potestà a certi genitori e a fare quello che la politica non è riuscita a fare, ossia intervenire quando l'incuria educativa, la mancata scolarizzazione e l'affiliazione a contesti criminali hanno messo a rischio i loro figli. I casi ci sono e le motivazioni sono documentate: il termine "rom" non compare quasi mai nei provvedimenti (per riservatezza) ma c'è un corpus di sentenze lette e schedate da chi ha avuto accesso agli atti.

Il Tribunale per i minorenni di Roma, per esempio, tra il 2006 e il 2012 ha redatto 87 sentenze di adottabilità su minori rom: un quarto per mancata frequenza scolastica, un terzo con violazione sistematica delle regole delle strutture (in cui vivevano) e il 28 per cento per criminalità dei genitori, spesso associata ad abuso di alcol o droga. Un minore rom, in pratica, aveva trenta volte più probabilità di essere dichiarato adottabile rispetto a un coetaneo non rom: non per l'etnia in sé, ovviamente, ma per una particolare concentrazione di incuria, assenteismo scolastico ed esposizione a reati. È questo il quadro che la politica ha delegato ai giudici. Poi ci sono dei casi legati alla criminalità più seria. A Reggio Calabria, fra il 2012 e il 2016, il Tribunale ha adottato severi provvedimenti su una trentina di ragazzi legati a famiglie della 'ndrangheta: l'obiettivo, dichiarato, era sottrarli a un contesto criminale strutturale in virtù del "best interests of the child" (la sicurezza del minore davanti a tutto, anche al legame di sangue). È un precedente interessante, perché questa prassi, dura e chirurgica, è centrata sull'interesse del minore quando l'ambiente familiare lo espone sistematicamente al crimine: che è quello che succede in certi contesti rom, non necessariamente in quello milanese. Resta che è la magistratura a fare il lavoro sporco laddove la politica non arriva: sottrarre i figli a un destino criminale quando scuola, servizi e amministrazioni hanno fallito.

A chi obiettasse che l'idea di "togliere i figli" punirebbe i genitori (invece di educarli) ha risposto indirettamente la Corte costituzionale nel 2012 e nel 2018: ha ricordato che non esistono automatismi e che la decadenza non è una pena accessoria, ergo va motivata caso per caso: ma quando il pregiudizio è grave e attuale (niente scuola, niente limiti, esposizione a reati) il giudice fa passare lo Stato davanti alla famiglia, come è suo dovere.

C'è infine un caso del 2016 passato da Strasburgo ma avviato in Italia: è la Corte europea a citare in sentenza l'origine rom della famiglia, altrimenti sarebbe sfuggita; una bambina fu dichiarata disponibile per l'adozione e i genitori naturali furono privati della responsabilità genitoriale, tutto con le motivazioni solite: ambiente familiare criminale, gravissime carenze educative (scuola) ed esposizioni a contesti "predatori" da parte della famiglia allargata.

Il dramma vero è che, secondo i dati dell'Associazione 21 luglio, il 70 per cento dei bambini nei campi autorizzati non frequenta la scuola, mentre nei campi abusivi l'abbandono scolastico sfiora il 100 per cento: ed è una scelta genitoriale, nessuno la impone.

I bambini non vengono neppure iscritti all'anagrafe scolastica: i genitori li mandano a chiedere l'elemosina o in giro a borseggiare, e li sfruttano come risorsa redditizia ben sapendo che un minore di 14 anni non è punibile. E rieccoci al caso di via Saponaro, Milano.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica