Mondo

Taiwan, la minaccia della Cina "Pronti a iniziare una guerra"

Pechino: "Distruggeremo i tentativi di indipendenza senza esitazione". Washington: "Stop alla destabilizzazione"

Taiwan, la minaccia della Cina "Pronti a iniziare una guerra"

A Singapore va in scena lo Shangri-La Dialogue, vertice internazionale dedicato alle questioni della sicurezza regionale del sud e dell'est asiatico, oltre che globale. Si cerca appunto un dialogo tra parti anche distanti su temi molto delicati come il bullismo missilistico e nucleare della Corea del Nord e l'invasione russa dell'Ucraina, ma quando cinesi e americani s'incontrano direttamente è inevitabile che volino le scintille sul punto che più li divide: Taiwan.

È successo di nuovo ieri, quando hanno per la prima volta «dialogato» gli attuali ministri della Difesa di Washington e di Pechino. All'esplicito invito di Lloyd Austin a cessare le azioni destabilizzatrici cinesi ai danni dell'isola nazionalista alleata di fatto degli Stati Uniti, ha replicato Weu Fenghe con una minaccia ancor più diretta: «Se qualcuno oserà dividere Taiwan dalla Cina, l'esercito di Pechino non esiterà a intraprendere una guerra per impedirlo».

Il linguaggio è volutamente intimidatorio, e riflette non solo l'altissimo livello di tensione tra le due superpotenze, ma anche il senso di sicurezza di una Cina in ascesa: tuttavia bisogna fare attenzione. Con queste parole, nonostante le apparenze, l'esponente del governo cinese non annuncia l'intenzione di scatenare presto una guerra per prendersi Taiwan. Xi Jinping è molto più sottile di Vladimir Putin, ormai preda dei suoi deliri personalistici e della volontà di ritagliarsi un capitolo nei futuri libri di Storia come reincarnazione dello zar Pietro il Grande: certamente il leader cinese punta ad annettere Taiwan con le buone o con le cattive, ma sa di non poterlo fare adesso. Per attuare la sua visione aggressiva, deve lasciar passare ancora qualche anno, rafforzare le sue armate e attendere un momento di debolezza degli americani per agire. Nel frattempo, quando minaccia una guerra per Taiwan, si riferisce all'ipotesi che essa proclami ufficialmente la propria indipendenza, cosa che a Taipei si guardano bene dal fare anche se Taiwan è da oltre settant'anni indipendente di fatto.

Insomma, quando tra Pechino e Washington volano minacce di guerra bisogna ricordarsi che in realtà né l'una né l'altra hanno intenzione di farsela. Joe Biden ha appena venduto l'ennesimo maxi carico di armi difensive ai taiwanesi non perché le usino, ma perché dissuadano la Cina dall'aggredirli, mentre il vero obiettivo di Xi è di arrivare a impadronirsi dell'isola nazionalista senza sparare un colpo. In attesa di ipotetici futuri sviluppi bellici, Cina e Stati Uniti scambiano bordate retoriche all'interno di un contesto che le due diplomazie hanno di fatto concordato da decenni: Washington riconosce a parole che esiste una sola Cina di cui Taiwan nominalmente fa parte, ma di fatto arma Taiwan fino ai denti per salvaguardarne una indipendenza non dichiarata. Può sembrare bizzarro, ma su queste basi regge un equilibrio da decenni.

È chiaro che più la Cina si rafforza economicamente e militarmente, più tale equilibrio rischia di cedere. La Cina è enorme, Taiwan per quanto tosta è piccola e per sopravvivere dovrà poter sempre contare sul sostegno anche militare degli States. Paradossalmente, però, è la stessa crescente ambizione di potenza cinese a giocarle contro: i vicini asiatici dal Giappone alla Corea del Sud ai Paesi indocinesi fino all'India e all'Australia la temono sempre di più e fanno gruppo con gli americani per difendersi da quel nuovo imperialismo.

C'è tutta una partita geopolitica in corso dal sud-est asiatico fino al Pacifico, e a Pechino sanno bene che si sta saldando una sorta di Nato orientale contro di lei: unirsi per non finire, in prospettiva, devastati come l'Ucraina o «normalizzati» come Hong Kong.

Commenti