
Gli aiuti umanitari a Gaza ripartiranno con effetto immediato. L'annuncio lo dà il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al termine di una giornata di trattative per la tregua e gli ostaggi in corso a Doha, incessanti. Il premier è impegnato in una serie di colloqui telefonici con l'inviato del presidente Donald Trump, Steve Witkoff, e con il team negoziale. Il suo ufficio ha fatto sapere che «sotto la direzione del capo del governo, il gruppo a Doha sta lavorando per esaurire ogni possibilità di accordo, sia secondo lo schema Witkoff, sia nel quadro di un'intesa che ponga fine alla guerra, che includerebbe il rilascio di tutti gli ostaggi, l'espulsione dei terroristi di Hamas e il disarmo del movimento islamista». Witkoff ha reso noto anche che Israele ha «indicato» che inizierà a consentire l'ingresso degli aiuti a Gaza, anche se ha ammesso che sarà complicato a livello logistico. Il lavoro diplomatico, dunque, è a un punto di svolta. Anche il segretario di Stato americano Marco Rubio ha sentito al telefono Netanyahu. Si tratta della seconda telefonata in tre giorni.
Ma c'è anche chi all'interno dell'esecutivo dello Stato ebraico ha un'altra opinione su come si debba proseguire. «L'improvvisa flessibilità di Hamas nei negoziati non è dovuta al desiderio improvviso di pace, ma all'aumento della pressione esercitata dalle Idf. Proprio per questo motivo, non è il momento di ritirarsi e lasciare che Hamas respiri e si riprenda, ma di accelerare a tavoletta, finché Hamas non si arrende», ha tuonato il ministro israeliano per la sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, uno dei principali oppositori a qualsiasi accordo di cessate il fuoco. «Dobbiamo entrare ora a Gaza con tutte le nostre forze e finire l'opera: occupare, conquistare il territorio, schiacciare il nemico e liberare i nostri ostaggi con la forza». Intanto sono molte le voci che si rincorrono in queste ore. Fonti palestinesi hanno riferito a Sky News Arabia che Hamas si è ovfferta di rilasciare metà dei sequestrati israeliani ancora in vita e alcuni corpi in cambio di una tregua di due mesi. Tel Aviv ha ripetutamente affermato che la guerra non finirà senza la distruzione del movimento islamista come potenza militare e di governo.
Nei recenti colloqui, Netanyahu ha insistito per accettare solo un cessate il fuoco temporaneo di 45 giorni, che inizierebbe con il rilascio di circa 10 ostaggi. Tuttavia, in passato, ha espresso la volontà di porre fine alla guerra solo se Hamas si arrendesse e disarmasse. Il gruppo terrorista invece ha manifestato la volontà di cedere il potere a Gaza, ma finora si è rifiutata di consegnare le armi. Al centro delle discussioni i termini e le condizioni del patto. Il principale ostacolo a un accordo è se Israele accetterà di dare garanzie che non riprenderà la guerra nella Striscia dopo il ritorno di tutti i rapiti. Hamas pretende garanzie internazionali, anche dagli Usa. Ma su questa questione non si registra alcuna svolta nei colloqui.
Le trattative sono in corso mentre le forze israeliane intensificano una nuova offensiva militare a Gaza volta a conquistare gran parte della Striscia, in una vasta manovra di terra nell'ambito dell'operazione Carri di Gedeone.
La conta delle perdite è impressionante. Gli attacchi di Tel Aviv lanciati nelle ultime ore hanno causato almeno 125 morti. Ed è probabile che i combattimenti si estendano significativamente in caso di fallimento dei colloqui.
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