
I punti chiave
- Acciaio: le tariffe restano al 50% Ma si tratta sulle quote
- Armi: acquisti fuori dall'intesa. La decisione è degli Stati
- Webtax: l'Europa ora si smarca. "Non è nell'accordo"
- Energia e gas: obiettivo 750 miliardi di import in tre anni
- Agroalimentare: ora il primo obiettivo è difendersi dai "falsi"
- Vino e alcolici: tutte le fiches puntate sul target "aliquota zero"
- Auto: negoziato non risolutivo Il settore è a rischio
- Farmaci: l'Ue punta a esenzioni Gli Usa: aliquota al 15%
L'intesa scozzese fissa una cornice generale di tariffe al 15% per le merci dei Paesi dell'Unione europea esportate negli Stati Uniti. Tuttavia sono in corso trattative per definire diversi dettagli. In particolare la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, vorrebbe che si stilasse una lista di beni esentati dalle tariffe come, tra gli altri, aerei e alcuni farmaci di uso comune. Si lavora per ottenere sconti sul vino. Ieri la Casa Bianca ha riferito che anche per i farmaci (che pesano per 10 miliardi sull'export italiano) e chip le tariffe saranno al 15 per cento. Mentre, come è emerso ieri, i dazi sulle auto americane esportate in Ue potrebbero scendere al 2,5 per cento.
Acciaio: le tariffe restano al 50% Ma si tratta sulle quote
I dazi su acciaio e alluminio sono rimasti al 50%, lo si sapeva la sera stessa dell'accordo quando il presidente Usa, Donald Trump, aveva anticipato che le tariffe sui metalli sarebbero rimaste su questo livello elevato. Tuttavia, insieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è concordato che verrà istituito un sistema di quote di importazione, legate ai "livelli storici" degli scambi commerciali, alle quali dovrebbe essere applicato un dazio inferiore (al 25%) dovuto allo status di nazione più favorita.
La situazione su questo fronte, così come su altri, rimane in divenire e potrebbe definirsi nei prossimi giorni o settimane. Sta di fatto che l'industria siderurgica, dal 2018, "ha perso ben 30 milioni di tonnellate di acciaio nel mercato interno dell'Ue e sui mercati di esportazione, a causa degli effetti della sovraccapacita globale di acciaio - trainata da Paesi di Asia, Nord Africa e Medio Oriente" spiega Eurofer, l'associazione europea dell'acciaio. Inoltre, "gli effetti dei recenti dazi aggiuntivi statunitensi sull'acciaio Ue applicati da marzo (25%) e da giugno (50%) stanno gia avendo un ulteriore impatto distruttivo sul settore". Il settore adesso si aspetta dalla Commissione europea di avere dettagli sull'annunciato Piano d'azione per l'acciaio e i metalli, una "misura commerciale dell'acciaio altamente efficace" da presentare entro settembre 2025. Anche il governo tedesco, ieri, ha dichiarato di continuare a sperare in una riduzione dei dazi del 50% su acciaio e alluminio a seguito del compromesso raggiunto nella controversia doganale tra Unione Europea e Stati Uniti.
Armi: acquisti fuori dall'intesa. La decisione è degli Stati
Dopo la fuga in avanti di Donald Trump sull'annuncio di 750 miliardi di dollari di energia e armi, fonti della Commissione europea ieri hanno precisato che gli acquisti di dispositivi militari non è una questione di sua competenza. Quindi, non sono stati forniti agli Usa "dati" a questo riguardo. Le parole del presidente americano al riguardo, secondo la fonte, "più che altro" erano "un'espressione delle aspettative" da parte del capo della Casa Bianca, per il quale "i maggiori benefici" per le aziende di difesa Usa sono da attribuire alla "qualità" delle attrezzature di difesa statunitensi. Ma questo, sottolinea, "non è stato in alcun modo calcolato nei dati" di cui si è parlato ieri.
I 750 miliardi in tre anni menzionati domenica sera, ha aggiunto la fonte, "riguardano l'energia, e solo l'energia. Non ci sono armi", anche perché gli acquisti di armamenti "non facevano parte" dei negoziati. Tuttavia, gli acquisti di armi sono in capo agli Stati membri dell'Unione europea e, dopo il vertice Nato all'Aja, è stata siglata un'intesa che gli Stati membri aumentino la spesa per la difesa, e che quindi ciò andrà a beneficio, direttamente o indirettamente, degli Usa. Nel dettaglio, i 32 Paesi membri dell'alleanza atlantica, tra cui l'Italia, hanno approvato in quella sede di destinare il 5% del Pil alla difesa entro il 2035. Il presidente degli Stati Uniti Trump ha espresso, in effetti, la sua "fiducia" nei "buoni prodotti" che gli Usa possono offrire in questo campo e "l'aspettativa" che questo avvantaggi l'industria a stelle e strisce che risulta essere il maggior esportatore di armi al mondo con una quota di mercato di oltre il 40 per cento.
Webtax: l'Europa ora si smarca. "Non è nell'accordo"
Nelle ore che avevano anticipato l'accordo tra Usa e Ue nella loro controversia commerciale, si era parlato della decisione della Commissione europea di fare concessioni sul fronte della cosiddetta Web Tax europea: il progetto di un'aliquota del 3% sul fatturato che dovrebbe colpire i giganti del Web Usa che operano sul territorio dell'Unione europea: da Netflix, ad Amazon, fino a Meta (la casa madre di Facebook, Instagram e Whatsapp) e Google. Nella giornata di ieri, però, è arrivata una frenata: "Nel corso dei negoziati, sia a livello tecnico che politico, abbiamo difeso con determinazione l'autonomia dell'Ue in materia normativa. Non è stato preso alcun impegno sulla regolamentazione del digitale, né sulla tassazione dei servizi digitali, che "peraltro non rientra nelle competenze Ue". Lo hanno spiegato ieri fonti europee facendo il punto sulle trattative che hanno condotto all'intesa commerciale con Washington. In poche parole, così come sulle armi, sono i singoli Paesi che possono decidere in tal senso.
Quanto alla Ue, "abbiamo tutelato con fermezza il nostro diritto a regolamentare, e questo è stato uno degli obiettivi centrali del negoziato", confermando che il Digital services act e il Digital markets act restano capisaldi. Quest'ultime normative, entrate in vigore nel 2024-2025, sono pensati per regolamentare le grandi piattaforme americane per tutelare utenti, concorrenza e diritti online. Norme indigeste che Trump avrebbe voluto cancellare, ma che per il momento la Commissione europea (che su questo è competente) non ha voluto mollare.
Energia e gas: obiettivo 750 miliardi di import in tre anni
Sul piano energetico, l'accordo prevede un'intesa politica che porterà l'Unione a sostituire progressivamente le importazioni di gas e petrolio russi con forniture statunitensi. L'impegno prevede l'acquisto da parte europea di energia statunitense - inclusi gas naturale liquefatto, petrolio e combustibili nucleari - per un valore complessivo stimato in 750 miliardi di dollari durante la presidenza Trump, dunque per tre anni fino al 2028. La Commissione ha specificato che si tratta di un obiettivo realistico, basato su analisi dettagliate e sul potenziamento delle infrastrutture di importazione, pur ricordando che saranno le imprese private, e non le istituzioni europee, a effettuare materialmente gli acquisti. "Ci sono molte variabili che devono verificarsi, ha dichiarato un funzionario della Commissione Ue in un briefing con i giornalisti.
"Non è qualcosa che possiamo negoziare facilmente come una semplice cifra, perché quei numeri devono essere supportati da proiezioni realistiche su ciò che possiamo assorbire, commerciare e trasportare in questo modo. Al momento non siamo in grado di suddividere ulteriormente quelle cifre", ha concluso. Con il cosiddetto phasing out energetico dalla Russia "è chiaro che la Ue avrà bisogno di un approvvigionamento energetico solido. Parliamo di petrolio, ma anche di nuove fonti e del nucleare di ultima generazione", ha poi spiegato il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic aggiungendo che l'esecutivo comunitario lavorerà ad "appalti congiunti" di energia americana da parte dei Paesi membri.
Agroalimentare: ora il primo obiettivo è difendersi dai "falsi"
L'export agroalimentare italiano negli Usa vale quasi 8 miliardi di euro. Il 15% riduce il danno rispetto al 30% inizialmente ipotizzato che avrebbe potuto produrre un impatto da 2,3 miliardi sulle esportazioni italiani. Secondo il presidente Coldiretti Ettore Prandini, il nuovo assetto tariffario, "avrà impatti differenziati tra i settori e deve essere accompagnato da compensazioni europee per le filiere penalizzate (come quelle delle Indicazioni Geografiche) anche considerando la svalutazione del dollaro". Occorre, pertanto, attendere per "capire bene i termini dell'accordo e soprattutto di leggere la lista dei prodotti agroalimentari a dazio zero sui quali ci auguriamo che la Commissione Ue. Inoltre, prosegue Prandini, "non possono essere ammessi in Italia prodotti agroalimentari che non rispettano gli stessi standard sanitari, ambientali e sociali imposti alle imprese europe". Gli Stati Uniti restano "un mercato fondamentale, dove dobbiamo proteggere i consumatori dalle imitazioni del falso made in Italy ha osservato il segretario generale Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, rilevando come "in un mercato già invaso da prodotti come il Parmesan made in Usa, dobbiamo portare avanti un'azione strutturale per promuovere il Made in Italy autentico e contrastare l'Italian sounding, che negli Stati Uniti provoca ogni anno perdite stimate in oltre 40 miliardi di euro". Il senso del discorso è semplice: se l'America vuole i nostri prodotti, deve accettare anche le nostre regole. E poi c'è il solito nodo dell'equità: perché accettare prodotti americani in Europa che non rispettano gli stessi standard imposti alle aziende italiane? Una domanda a cui Bruxelles non ha mai saputo rispondere con sufficiente coraggio.
Vino e alcolici: tutte le fiches puntate sul target "aliquota zero"
Bruxelles ha promesso di lavorare affinché il vino sia inserito nella lista a "dazio-zero", visto che rischia un incremento significativo rispetto all'attuale soglia del 2,5%. "Su vini e liquori, sono ancora in corso le discussioni per eventuali esenzioni dal dazio del 15%", ha fatto sapere un funzionario Ue. "Non posso dire quando tutto questo potrebbe concretizzarsi. Posso solo dirvi che sembriamo essere più avanti sui liquori che sui vini. Ma stiamo continuando a impegnarci in questo ambito", ha aggiunto. Nel settore del vino l'Italia stima un danno "di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi". Secondo il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, l'impatto "salirebbe a 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l'attuale livello di svalutazione". A inizio anno la bottiglia italiana che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduta in corsia a 11,5 dollari; ora, tra dazio e svalutazione della moneta statunitense, il prezzo della stessa bottiglia sarebbe vicino ai 15 dollari. "Se prima il prezzo finale rispetto al valore all'origine aumentava del 123%, da oggi lieviterà al 186%", aggiunge Frescobaldi. Per l'Osservatorio Uiv, il conto si fa molto più salato alla ristorazione, dove la stessa bottiglia da 5 euro rischierà di costare al tavolo con un ricarico normale circa 60 dollari. Una salita verticale che rischia di far sparire il Brunello e il Chianti dai tavoli americani. Il mercato americano vale il 30% dell'export vitivinicolo, pari a oltre 3 milioni di bottiglie. Per questo motivo il presidente di Federvini, Giacomo Ponti, suggerisce di rafforzare la battaglia contro l'Italian sounding (le imitazioni estere a basso costo).
Auto: negoziato non risolutivo Il settore è a rischio
"Gli Stati Uniti manterranno dazi più elevati su automobili e componenti automobilistici, e ciò continuerà ad avere un impatto negativo non solo per l'industria dell'Ue, ma anche per quella statunitense", ha commentato l'Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea). L'automotive, con un export di 5,2 miliardi, evidenzia la Fiom, è tra i settori metalmeccanici più esposti nelle esportazioni verso gli Stati Uniti, "su cui quindi peseranno di più i dazi". Tuttavia, le tariffe al 15% - sebbene inferiori al 27,5% praticato da aprile - avranno un "impatto negativo sul settore, non solo nell'Ue, ma anche negli Stati Uniti", ha avvertito la direttrice generale dell'Acea, Sigrid de Vries. Secondo alcune fonti, inoltre, Bruxelles avrebbe accettato di ridurre dal 10 al 2,5% l'aggravio sulle auto importate dagli Usa. I costruttori americani come Chrysler e Jeep (marchi di Stellantis) o General Motors stanno seguendo con particolare attenzione i negoziati tra gli Stati Uniti e il Messico, dove viene prodotto il 15% delle auto vendute negli Stati Uniti e molti pezzi di ricambio. Sul fronte europeo, la Germania è in prima linea. Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno rappresentato il primo mercato di esportazione (13,1%) per un'industria automobilistica tedesca già in difficoltà in Cina. A breve termine, anche se limitati al 15%, i dazi americani costeranno "miliardi ogni anno alle aziende automobilistiche tedesche", ha dichiarato Hildegard Mueller, presidente della federazione dei costruttori automobilistici tedeschi, che dovranno aumentare i prezzi negli Stati Uniti.
Farmaci: l'Ue punta a esenzioni Gli Usa: aliquota al 15%
Tra i punti da chiarire, uno degli aspetti più rilevanti per l'Europa riguarda i dazi sui prodotti farmaceutici. Bruxelles ha fatto sapere che la tariffa non supererà il 15%, ma non è escluso, come ha lasciato intendere lo stesso presidente americano, che in futuro possa aumentare anche per altri Paesi. In un confronto con i giornalisti, Trump aveva addirittura affermato che i farmaci non sarebbero stati inclusi nell'intesa. E ieri ha ribadito: "Vogliamo riportare la produzione di medicine negli Usa. A breve saranno annunciati importanti accordi su questo". Mentre Ursula von der Leyen domenica in conferenza stampa aveva anche citato "alcuni farmaci generici" tra i prodotti strategici per cui sono stati concordati dazi "zero per zero".
Fonti Ue ieri hanno precisato che i farmaci restano attualmente esenti dai dazi statunitensi e continueranno a esserlo fino a un'eventuale introduzione di nuove misure da parte degli Stati Uniti, al termine delle indagini. In uno dei passaggi della scheda informativa diffusa dalla Casa Bianca sull'accordo commerciale si legge che "l'Unione Europea pagherà agli Stati Uniti un'aliquota tariffaria del 15%, anche su auto e componenti auto, prodotti farmaceutici e semiconduttori".
Nel 2024 l'Italia ha esportato in tutto il mondo 55,6 miliardi di dollari in farmaci, più delle auto (47 miliardi) e più del doppio dei prodotti alimentari e delle bevande (23 miliardi). Circa 10 miliardi di dollari in prodotti farmaceutici vengono esportati ogni anno negli Usa. Oggi nel solo settore farmaceutico i dazi al 15% potrebbero costare circa 1,5 miliardi.