Per trattare con gli Usa l'Europa diventi potenza

La vicenda dei dazi doganali dovrebbero offrire l'occasione all'Unione per guardarsi allo specchio

Per trattare con gli Usa l'Europa diventi potenza
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Si può dire ciò che si vuole ma l'accordo sui dazi con Donald Trump non merita certo un brindisi. Anzi. L'unica consolazione è che poteva andare peggio. Intanto perché emerge un dato politico: i dazi asimmetrici, cioè che pesano molto di più sul versante europeo, certificano una dipendenza. Se poi alla fatidica soglia del 15% si aggiungono pure gli impegni - di cui si parla ma da verificare - di 600 miliardi di investimenti europei negli USA, di un aumento considerevole negli acquisti di gas (più costoso rispetto a quello di altri paesi) e di armi americane e, ancora, gli aspetti poco chiari che riguardano i dazi sulla farmaceutica, sui vini e infine sulla normativa che dovrebbe regolare i rapporti con le Big Tech d'oltreoceano, è evidente che l'ago della bilancia non è favorevole. L'Europa con i suoi limiti ha fatto il possibile, ma non è detto che basti.

Questa vicenda, però, dovrebbe offrire l'occasione all'Unione per guardarsi allo specchio. Intanto mettere la croce tutta sulle spalle della von der Leyen è una scorciatoia: in fondo l'atteggiamento che la presidente della Commissione ha messo in campo è stato il risultato della mediazione tra tutte le contraddizioni dell'Unione. E farla fuori ora - come suggerisce qualcuno - sarebbe come dare lo scalpo biondo di Ursula a Donald e dimostrare ancora una volta quanto l'Europa sia divisa.

Sarebbe semmai più serio interrogarsi sulle ragioni che hanno determinato questo mezzo insuccesso. A partire da quelle di Trump: il presidente USA deve fronteggiare un debito pubblico che rappresenta il 35% del debito mondiale. Un enorme buco determinato anche dall'esigenza di finanziare l'esercito più potente del mondo. E i dazi sono un espediente rude per ridurre quel debito con i soldi degli europei.

Giusto? Sicuramente "no". Solo che per trattare da pari a pari con una "superpotenza" l'Europa lo deve diventare. Anche per non mantenere, come in questa occasione, un rapporto di subalternità. Questo vuol dire innanzitutto risolvere le contraddizioni dell'Unione spazzando via le barriere e i lacci e lacciuoli del suo mercato interno che le impediscono di dispiegare tutte le sue potenzialità economiche.

Poi, sul piano istituzionale, va abolito senza perdere tempo, "il potere di veto" degli Stati che rende sicuramente più debole la Commissione nel rapporto con gli altri giganti mondiali: se si vuole trasformare l'Unione in un soggetto di caratura globale, chi non è d'accordo con tale riforma deve essere fatto accomodare fuori.

Infine l'Europa deve assumersi la responsabilità della propria sicurezza e della propria autonomia anche dal punto di vista militare: per chi non l'avesse capito, a cominciare dai pacifisti nostrani, noi con i dazi al 15% paghiamo agli americani gli oneri che si sono assunti per la nostra difesa. Un tributo simile a quelli che più di duemila anni fa pagavano i paesi confinanti alle legioni di Roma. Trump nella sua brutalità lo ha ripetuto più volte senza infingimenti.

Privi della capacità di difenderci da soli saremo sempre un vaso di coccio tra vasi di ferro nel rapporto economico come nell'influenza diplomatica. La nostra debolezza nella trattativa sui dazi non è altro che un'altra faccia dell'assenza di peso che l'Europa dimostra tutti i giorni sulla tragedia di Gaza, o, ancora, la ragione di fondo della prepotenza di Putin nel continente. Inoltre l'epilogo della vicenda dei dazi dimostra ancora una volta che con gli Stati Uniti di oggi l'Europa dopo 80 anni non può più contare su una solidarietà che derivi solo dalla condivisione dei valori occidentali.

Con la fine del multilateralismo il rapporto con gli Stati Unisti si baserà sempre più su uno spietato do ut des.

È la ragione per cui per Giorgia Meloni nel tempo il rapporto con The Donald potrebbe trasformarsi da risorsa in handicap.

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