La tregua è fragile. Israele resta in allerta sui piani per l'atomica

Il cessate il fuoco ha lasciato l'Iran indebolito, ma non in ginocchio

La tregua è fragile. Israele resta in allerta sui piani per l'atomica
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Nel tentativo di interpretare questa fragile tregua tra Israele e Iran dopo la guerra dei Dodici Giorni, alcuni analisti hanno parlato di messinscena per salvare la faccia al regime di Teheran. Altri, addirittura di capitolazione mascherata da parte di Khamenei. Ma la domanda che tutti a questo punto si pongono è se questa pace armata reggerà.

L'analisi è complessa, ma vi sono alcuni punti fermi. Il primo è che la Repubblica islamica esce da questo breve e anomalo conflitto seriamente indebolita, ma ancora in piedi. Gettarla in ginocchio, come certamente Netanyahu avrebbe preferito allo scopo di liberarsi di un nemico fanatico e di tentare di riaprire un capitolo di relazioni normali con l'Iran (come era stato prima della rivoluzione del 1979), avrebbe comportato enormi rischi di instabilità. Rischi che Donald Trump assolutamente non è disposto a correre.

Alla Casa Bianca si è dunque scelto di fermarsi qui, con una pace di fatto imposta a Israele e gradita all'Iran. Il quale però, per ragioni politiche, non poteva mostrarsi piegato e ha ottenuto dietro le quinte che si inscenasse una sua finta reazione ai bombardamenti americani (i missili lanciati senza far danni contro la base Usa di al-Udeid in Qatar) per poi concordare una tregua in apparenza onorevole con Israele. A quel punto sarebbero potuti partire dei negoziati presentabili come non imposti a Teheran dal Grande Satana americano.

Questo è accaduto. Ora la tregua sta in piedi fintanto che verrà accertato e non sarà facile - il vero livello di danni inflitti ai siti nucleari iraniani. Su questo punto, un giubilante Netanyahu è stato chiarissimo: l'Iran khomeinista non dovrà mai avere una bomba atomica, e se tenterà di riprovare a costruirla Israele attaccherà di nuovo con la massima intensità. Inutile farsi confondere dalla rumorosa propaganda di un regime mezzo decapitato e militarmente stordito: le sue possibilità di difendersi da simili attacchi sarebbero modeste, come già si è appena dimostrato.

Difficile dire se si possa definire l'attuale situazione una capitolazione mascherata della Repubblica islamica. Certamente rimane sullo sfondo, dal punto di vista israeliano e probabilmente anche della Casa Bianca, l'obiettivo del cambio di regime a Teheran. Che potrebbe essere perseguito nel lungo termine, provocando e favorendo un progressivo indebolimento di quello attuale.

Non va però dimenticata la variabile impazzita dell'attuale amministrazione americana, quel rapporto personale preferenziale innegabilmente esistente tra Trump e il dittatore russo Vladimir Putin. Solo in virtù di questa sconcertante realtà, Putin che è un alleato di ferro degli ayatollah iraniani, dai quali riceve da anni missili e droni in gran quantità per martirizzare l'Ucraina ha potuto provare a proporsi a Trump come mediatore tra Iran e Israele.

Non si è, fortunatamente, arrivati a tanto, ma non è impossibile che nella sua recente telefonata col presidente degli Stati Uniti, Putin possa aver svolto un ruolo a dir poco opaco nel conseguimento di questa strana e fragile pace.

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