Il bicchiere mezzo pieno di Giorgia Meloni è un bilaterale di circa quaranta minuti con Olaf Scholz, da soli e senza sherpa. Un faccia a faccia che arriva dopo settimane di incomprensioni, che chiude lo scontro tra Roma e Berlino sulle Ong e apre un confronto per cercare di superare i dubbi della Germania sul memorandum dell'Ue con la Tunisia, un accordo che il governo tedesco sta sì sostenendo, ma piuttosto tiepidamente perché non riconosce il Paese del Maghreb come «Stato d'origine sicuro». Quello mezzo vuoto è invece la Dichiarazione di Granada approvata dai Ventisette a conclusione del Consiglio europeo informale che si è tenuto ieri in Andalusia. Dal documento finale, infatti, è stato tolto il capitolo sull'immigrazione, finito in un'altra dichiarazione conclusiva sottoscritta dal solo presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. Una scelta dovuta alla netta contrarietà del premier polacco Mateusz Morawiecki e di quello ungherese Viktor Orbán, che è arrivato ad accusare l'Ue di aver «legalmente stuprato Polonia e Ungheria», che sarebbero state «costrette ad accettare qualcosa che non gli piace affatto come il Patto europeo sulla migrazione». Un veto che non può certo far piacere all'Italia, che dopo un lungo lavorio diplomatico era riuscita a far entrare il dossier migranti nei temi in agenda del Consiglio informale di Granada. E che arriva da due leader politici storicamente vicini a Meloni. Con Orbán c'è stato un lungo faccia a faccia a Budapest solo venti giorni fa, mentre il Pis di Morawiecki conta ben 24 dei 66 eurodeputati che a Bruxelles oggi aderiscono ai Conservatori e riformisti, partito di cui la leader di Fdi è presidente dal settembre 2020.
Meloni, però, non vuole aprire fronti. E quando incrocia i giornalisti prima di lasciare Granada si dice «molto soddisfatta» per «quello che sta accadendo a livello europeo» perché «oggi ci troviamo in un Consiglio Ue in cui 27 Paesi sono d'accordo sul fatto che la priorità è fermare la migrazione illegale a partire dalla dimensione esterna». Poi tende una mano a Scholz («serve una lista europea dei Paesi sicuri») ed evita di polemizzare con Varsavia e Budapest («quella di Polonia e Ungheria è una posizione che comprendo perfettamente, ma non pregiudica il lavoro che stiamo facendo»).
La presidente del Consiglio guarda anche al coinvolgimento sul fronte migranti di Stati extra Ue come il Regno Unito, con il format a sei inaugurato giovedì sempre a Granada (su iniziativa del premier britannico Rishi Sunak, alla riunione hanno partecipato Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron, i primi ministri di Albania e Olanda, Edi Rama e Mark Rutte, e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen). «Siamo passati - dice - in una fase in cui abbiamo smesso di fare la diagnosi del fenomeno e lavoriamo sugli strumenti concreti per risolverlo». Cioè missioni operative congiunte e concordate con Tunisia e Libia per rendere inutilizzabile le barche già esistenti pronte a salpare e fare uno screening dei cantieri dove vengono costruite e riparate. E il fatto che il format sarà ripetuto a breve secondo Palazzo Chigi è un ottimo segnale.
Meloni parla anche del faccia a faccia con Scholz, un incontro che serve a ricucire settimane di incomprensioni. Il cancelliere tedesco, spiega la premier, ha «confermato» il sostegno della Germania al «lavoro» fatto da Ue e Italia con la Tunisia. E quando gli chiedono se abbia sollevato obiezioni la risposta è netta: «Non è la posizione che ho sentito da Scholz. Ne abbiamo parlato a lungo e mi pare sia consapevole del fatto che la strategia proposta dall'Italia sia l'unica efficace». Anche il cancelliere conferma che i rapporti sono in via di distensione. Ci tiene a parlare di «comprensione molto pragmatica», che nel linguaggio della diplomazia significa che Roma e Berlino hanno fatto di necessità virtù. Ma assicura che dopo «conversazioni molto intense» entrambi «siamo molto contenti di essere riusciti a trovare l'ultimo elemento fondamentale del diritto europeo in materia di asilo», un passaggio grazie al quale e «con soddisfazione» di entrambi la riforma del Patto sui migranti «è diventata possibile».
Insomma, una tregua importane dopo lo scontro delle ultime settimane.
Anche perché il fatto che Meloni e Scholz si siano lasciati ieri dandosi appuntamento a Berlino il 22 novembre per il vertice intergovernativo italo-tedesco, fa supporre che l'obiettivo di entrambi sia quello di lavorare davvero a una distensione.
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