Una giustizia fuori tempo massimo, che grazia i delinquenti e colpisce ad anni di distanza gente che ha sbagliato una volta, che si è rimessa in carreggiata e che si vede all'improvviso recapitare il conto. Lunedì scorso, quando il ministro della Giustizia Marta Cartabia si è presentata nel tribunale di Milano per presentare a giudici ed avvocati il suo progetto di riforma, insieme agli applausi e agli auguri è risuonato un grido d'allarme, rimasto pressoché inascoltato. L'allarme di un giudice che racconta, dati alla mano, il lato oscuro della giustizia: quello dei processi inutili.
A intervenire in aula è stata Giovanna Di Rosa, presidente del tribunale di sorveglianza di Milano. È un ufficio in affanno perenne, investito ogni anno da centomila (non è un'iperbole) domande, casi, fascicoli da gestire. Tra questi, ci sono tutte le condanne fino a quattro anni di pena che per legge vengono sospese - tranne che per i reati di corruzione e pochi altri - fino a quando il tribunale non ha valutato le misure alternative cui il condannato può essere ammesso. E una valutazione che dovrebbe avvenire subito dopo la condanna definitiva. E invece impiega una quantità di anni tale da togliere ogni senso alla condanna. «Si devono attendere più di quattro anni - si legge nella relazione del magistrato - per vedere fissata l'udienza».
Ma i quattro anni, in realtà, sono molti di più. «È vero - spiega al Giornale Giovanna Di Rosa - che stiamo affrontando adesso le condanne divenute definitive nel 2017, e già questo è un dato grave. Ma si tratta di condanne emesse anni prima, e relativi a fatti commessi ancora più addietro. Siamo arrivati all'assurdo di valutare adesso la posizione di cittadini condannati per reati del 1999». Ventidue anni fa.
Ora, col suo progetto di riforma, il ministro promette di accelerare almeno del 25 per cento la durata dei processi penali: «Ma se non si affronta il nostro nodo - dice la Di Rosa - fare più sentenze vuol dire intasare ancora di più l'imbuto». Produrre migliaia di condanne destinate ad essere eseguite solo a dieci anni di distanza ha due conseguenze, una peggiore dell'altra: da una parte i condannati che nel frattempo hanno rigato dritto, e che si vedono all'improvviso spedire ai servizi sociali. «E poi ci sono invece condannati che nel frattempo si sono resi irreperibili, e che per tutti gli anni dell'attesa hanno continuato a vivere di reati e a costituire un pericolo per la società. Qualcuno nel frattempo è stato arrestato nuovamente e possiamo notificargli la nostra decisione in carcere, ma di molti non abbiamo idea di che fine abbiano fatto».
Non è tutto. Accelerare il ritmo dei processi senza ammodernare l'intera macchina della giustizia rischia di avere un altro effetto collaterale ingestibile: ingolfare ancora di più un sistema carcerario che è già allo stremo, dove il sovraffollamento produce condizioni di vita inaccettabili.
Anche su questo il giudice Di Rosa ha fornito al ministro un dato inquietante: il numero delle istanze per risarcimento da detenzione inumana e degradante «si è quadruplicato» e vede«una altissima percentuale di accoglimenti». D'altronde in Lombardia ci sono carceri che scoppiano - Lodi è al 171% della capienza, Monza e Como al 150% - dove i tre metri di spazio vitale per detenuto sono un'utopia. Ma di tutto questo non si parla.
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