"Tv militarizzata? La sinistra dimentica che ha sempre usato lo spoil system"

L'ex direttore, 25 anni a viale Mazzini, smorza le polemiche sulle nuove nomine: "La verità è che l'ex Pci la considerava casa sua..."

"Tv militarizzata? La sinistra dimentica che ha sempre usato lo spoil system"
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«Mi torna in mente quello che disse Giuliano Amato nel '94 quando il Pd (allora Pds) denunciò il conflitto di interessi di Berlusconi: anche la sinistra ha il suo conflitto d'interesse, è la Rai che considera da sempre cosa sua». Insomma per Mauro Mazza, più di venticinque anni in Rai, direttore del Tg2, Raiuno e Rai Sport e quindi grande conoscitore dell'azienda, non c'è da sorprendersi del cambiamento che oggi verrà sancito dal consiglio di amministrazione della Tv di Stato. Una squadra di dirigenti e giornalisti scelti dal neo ad Roberto Sergio che rispecchia la nuova maggioranza parlamentare. Mauro Mazza, che non ha mai nascosto le sue simpatie verso le idee del centrodestra, parla da osservatore esterno (è in pensione) che di vertici in Rai ne ha visti passare tanti.

Dunque, Mazza, in questi giorni gli esponenti politici della sinistra accusano le forze di destra di occupare militarmente la Rai. É una invasione come non si era mai vista prima o è il consueto spoil system?

«Ovviamente la seconda. É la norma, nel senso kantiano del termine: la Rai è governata dalla maggioranza che è espressione del voto dei cittadini, mai così chiaro come stavolta. Anzi: la situazione che c'era finora era contro la norma perché l'unica forza che non era rappresentata nel consiglio di amministrazione aziendale era Fratelli d'Italia, che è maggioranza nel Paese».

Non per nulla Giampaolo Rossi, che era rimasto fuori dall'attuale cda, è stato nominato direttore generale. Sembra una rivalsa...

«No. É semplicemente un'accelerazione rispetto ai tempi delle scadenze (l'attuale governance scade la prossima estate). Qualunque governo avrebbe fatto lo stesso».

Ma c'è una differenza oggi rispetto a quanto è successo in settant'anni di televisione pubblica?

«No. Ci ricordiamo quando i direttori venivano cambiati non in base a chi vinceva le elezioni ma in base al peso delle correnti nella Dc, a seconda se era preponderante Andreotti, Forlani o De Mita? E se ne andavano silenziosamente senza aspettare di avere altri ruoli come la sovrintendenza del Teatro San Carlo».

A parte che forse Fuortes non l'avrà (perché è probabile che la norma non passi il vaglio costituzionale), l'ad era considerato un corpo estraneo, aveva contro tutto il «corpaccione» aziendale...

«Infatti il primo atto del nuovo ad Roberto Sergio è stato scongiurare lo sciopero deciso dai sindacati. Sergio è uno che conosce profondamente l'azienda, uno che si muove come i democristiani, per comporre, per sedare pacificamente. E il dg Rossi è culturalmente molto attrezzato: m'aspetto da lui grande innovazione».

A destra, invece, si sostiene che la Rai, come gran parte delle istituzioni culturali, sia stata per molto più tempo e in percentuale molto più forte dominata dalla sinistra.

«Come è stato evidente al Salone del Libro con le contestazioni al ministro Eugenia Roccella. A Torino si è tentato un riequilibrio, non ancora realizzato. Così come è giusto fare in Rai. Operazione facilitata dalla nuova struttura di divisione per generi, che consente di superare le vecchie logiche di spartizione di Raiuno, Raidue, Raitre».

Infatti l'idea è quella di mandare in pensione Telekabul, inserendo sul terzo canale programmi che non rispecchino solo una componente culturale.

«Sarebbe un arricchimento, una varietà di offerta: oltre a Cartabianca e Report, anche altri tipi di approfondimento. E, a proposito dell'addio di Fazio, al suo posto vedrei bene Alessandro Cattelan che, in prospettiva, potrebbe diventare un Fazio meno fazioso».

Quindi come la vede questa Rai nel prossimo futuro?

«Bisogna vedere

quello che faranno. La sfida decisiva è cambiare totalmente linguaggio per includere le giovani generazioni. Per esempio io avrei invitato subito a fare un dibattito i ragazzi contestatori di Torino con la ministra Roccella».

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