Voce sottile e quasi candida quando, in una nenia, inneggia alla morte nel nome dell'Isis, occhi perforanti come proiettili che spuntano dalle fessure del niqab, il velo islamico che indossa anche tra le mura di casa. Sembra più giovane dei suoi 19 anni, ma è una donna letale Bleona Tafallari, di quelle per cui si coniano frasi emblematiche come «le acque chete rovinano i ponti». Fiore d'acciaio, con un potenziale silente ma letale, questa «leonessa dei Balcani» (è nata in Kosovo ma ha nazionalità italiana) - pronta a immolarsi nel sangue per Allah e con un filo diretto con il capo di una cellula dell'Isis in Kosovo - è stata arrestata ieri mattina nel suo appartamento nella famigerata via Padova gli investigatori della Digos di Milano - guidati da Carmine Mele che all'interno dell'ufficio politico della questura comanda l'Antiterrorismo e dal dirigente Guido D'Onofrio, coordinati dal pm Leonardo Lesti - con l'accusa pesantissima di terrorismo internazionale. Bleona è una «sposa pellegrina» ovvero una Al Muhajirah (il suo nickname sulla piattaforma Telegraph, ma anche il nome dato all'operazione antiterrorismo). Radicalizzatasi a 16 anni, quando abitava a Isernia con la famiglia e già flirtava con Daesh, sposata da gennaio di quest'anno con un miliziano anche lui di origine kosovara e imparentato con il macedone Kujtim Fajzulai l'attentatore di Vienna (4 morti e 23 feriti), tutti appartenenti alla cellula salafita trapiantata in Germania «Leoni dei Balcani» provvista di numerosi arsenali e impegnata a compiere attentati in giro per il mondo.
Trasferitasi ad agosto a Milano, la donna è stata individuata proprio allora con una indagine lampo partita dopo una segnalazione dell'Aise, l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna, come ha spiegato ieri mattina Diego Parente, il capo della Direzione centrale della polizia di prevenzione (Dcpp, l'ufficio centrale della polizia che si occupa di antiterrorismo) definendo l'operazione della Digos di Milano «esemplare».
Il cerchio comincia a stringersi intorno alla ragazza proprio questa estate quando arriva sotto la Madonnina insieme alla sorella Alberina. Ad aspettarle in aeroporto c'è il fratello Mirivan (entrambi i familiari sono estranei o addirittura contrari alla radicalizzazione di Bleona). Alberina è qui per il rinnovo dei documenti, risolve la pratica in tre giorni e sparisce. Bleona, che ha la carta d'identità scaduta, prende appuntamento col Comune per il 7 settembre e attende nell'appartamento di ringhiera di via Padova da cui non esce mai. Per stanarla, il giorno dell'appuntamento per il documento, viene organizzato un finto controllo con una pattuglia del commissariato di zona. Stanno cercando un telefono rubato, le dicono, e il numero potrebbe essere il suo: serve sbloccarlo col pin. Bleona non fa una piega ma non proferisce parola. Quando il fratello le spiega che il controllo è legittimo lei, con estrema indifferenza, consegna il suo smartphone e il pin attraverso i quali gli investigatori trovano almeno 7mila tra audio, video e foto che riconducono all'Isis: dagli attentati dei fratelli Kouachi a Charlie Hebdo fino alla decapitazione del professore francese Samuel Paty, alle foto in niqab e mano guantata di nero col dito puntato al cielo. E ancora manuali scaricati in pdf, precetti di addestramento per aspiranti jihadisti. Principi promossi alle altri aspiranti «leonesse» tramite Telegram, WhatsApp e Snapchat, contro i tuffar, gli infedeli, che le altre donne devono evitare accuratamente per sposare invece miliziani jihadisti barbuti e con i capelli lunghi, « (...
) bagnati con il sangue dei miscredenti», ovviamente prima di mettere a segno il martirio al plastico.«Il terrorismo non è morto, cova sotto la brace - ammonisce il procuratore aggiunto Alberto Nobili -. Questi islamici forse stanno aspettando il nuovo Bin Laden o il nuovo Al-Baghdadi, ma noi ci siamo».
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