
La domanda ce la siamo fatta tutti, e peccato che la risposta non sia giunta mai: come sarebbe andata, dice, se Gennaro Sangiuliano fosse stato una donna, inteso come un ministro donna, inteso come vittima da Codice Rosso anziché nero come è vergognosamente stato; immaginarsi, quindi, se fosse stato una ministra piddina, magari bella e intelligente come Maria Elena Boschi, anzi no, sarebbe di cattivo gusto: si rischierebbe di passare da un eccesso all'altro. E allora esprimiamola subito, la morale così semplice che il giornalismo italiano si è dimenticato di trarla: che la violenza non dovrebbe avere genere, perché, nel caso, non stiamo parlando di una presunta inadeguatezza politica o di una presunta incapacità di trattare con l'altro sesso, o, ancora, di resistere alle sirene del Tg Uno, stiamo parlando di stalking, diffamazione, lesioni personali aggravate da un contesto affettivo (la famosa ferita in testa con taglio di nove centimetri) oltre a falso ideologico e interferenza illecita nella vita privata, evidenze penali passate sottotraccia ma per le quali la magistratura ha l'obbligo di procedere quale che sia il sesso della vittima.
Non è la fantasia di una sola parte: è roba che è passata sotto gli occhi del Paese come una mega-incidente probatorio che non hanno visto solo gli strabici professionali. A proposito: immaginate, pure, che lo stalker di questa ministra Sangiuliano (lo stalker uomo) sia anche stato ospitato due volte a Piazzapulita (La7) dallo smunto Corrado Formigli, oppure che abbia avuto una sorta di tutor spirituale in Luca Telese che è quel conduttore che basta nominare per fare bodyshaming: immaginatelo, perché è grazie per esempio a Telese che la Boccia (pardon, il Boccia, lo stalker) potè dire, sempre su La7, dopo le dimissioni del ministro, che "se Sangiuliano avesse detto la verità fin dall'inizio, io non sarei qui... Voglio le sue scuse". E tutti a riprendere la notizia, a chiamarla notizia. Bravi, bello.
Diciamo dei magistrati, ma a non scusarsi mai, in Italia, sono i giornalisti. Non c'è da cercare sfumature, non c'è un sì-ma-però: l'opinione pubblica, all'epoca delle dimissioni di Sangiuliano, non ebbe modo di ascoltare campane difensive, punto. Lui scelse il riserbo, molti politici tennero le distanze, il giornalismo medio registrò fatti e rumor senza porsi domande bensì fornendo direttamente le risposte. La domanda, ergo, la ri-poniamo con forza: quale e quanta differenza ci sarebbe stata se non fosse stato un ministro ma una ministra? Una ministra, ossia, che si dimette in circostanze oscure e poi racconta di pesanti molestie? Risposta: per cominciare avrebbe dominato i talk show, e da qui interviste, editoriali, parlamentari che inneggiano al coraggio femminile, contro il patriarcato e scemenze varie. Il principio è che "si crede alle donne", e se invece è un uomo, ed è ministro pure di destra, ecco, abbiamo visto.
Dovrebbe esistere solo la coerenza mediatica e la credibilità delle vittime: non c'entrano le battaglie
di genere, eppure è principalmente una questione di genere quella che ha seppellito Sangiuliano. Ma, ad aver perduto ruolo e dignità, non è stato un uomo, e neppure una donna: è stata solo una vittima. Eccola la lezione.