Vittima due volte dei giudici: risarcito per il carcere ingiusto ma punito dalla Corte dei Conti

A Vittorio Gallo, detenuto per un errore giudiziario, è stato chiesto il pagamento delle spese legali

Screen Errori giudiziari via YouTube
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Due rapine che non aveva commesso. Un anno fra carcere e arresti domiciliari. E un tempo lunghissimo per dimostrare la propria innocenza. Avrebbe dovuto esserci anche lui alla manifestazione promossa venerdì da Forza Italia. Un happening per festeggiare la nuova legge costituzionale sulla separazione delle carriere. Ma aveva la febbre e Vittorio Gallo ha dovuto dire no alle sollecitazioni di Enrico Costa, il deputato che più si è speso contro la malagiustizia.

La sua storia è quella, clamorosa, raccontata alcuni anni fa dal sito errorigiudiziari.com.

Una vicenda costruita su un'investigazione approssimativa, e dal finale surreale, come solo in un'Italia malata di burocrazia può accadere: dopo tredici anni e il riconoscimento che Gallo non aveva rapinato le Poste, ecco la doppia sorpresa.

Lo Stato gli riconosce un risarcimento di 75mila euro per l'ingiusta detenzione patita, ma nello stesso tempo lo stesso Stato attraverso la Corte dei conti gli chiede 500mila euro come danno erariale per le due irruzioni negli uffici. "È che le diverse articolazioni dello Stato fra di loro non si parlano - spiega lui - e così una mano non sa quello che fa l'altra. Alla fine sì sono accorti di aver preso una cantonata e hanno cancellato la sanzione, ma hanno lasciato 700 euro di spese legali. Settecento euro che mi sono ben guardato dal pagare, primo perché non li avevo e secondo per la semplice ragione che ero innocente e non dovevo pagare nulla di nulla".

Un finale da teatro dell'assurdo per una vicenda incredibile. Gallo viene arrestato per un'intercettazione sospetta. "Una conversazione - sintetizza lui - di cui non si capiva nulla, se non improperi e parolacce. E non era così evidente che quello lì fossi io, anzi per me era scontato il contrario".

Ma c'è voluto molto tempo per convincere gli inquirenti e far cadere il teorema accusatorio. Intanto emergono elementi sconcertanti: "Il telefonino era di una prostituta che l'aveva dato in uso a qualcuno". Un pasticcio colmato con supposizioni e deduzioni. Gallo aveva i suoi debiti e questo era diventato nella testa di chi indagava una motivazione più che sufficiente di colpevolezza , al di là dei fatti. Ma quella chiamata non l'aveva fatta lui, né i presunti complici l'avevano chiamato in causa, e neppure gli era stato trovato anche un solo centesimo del bottino, portato via nei due colpi messi a segno nella capitale. Niente.

In primo grado le prove vacillano vistosamente , ma i giudici emettono comunque una condanna. In appello, invece, il castello accusatorio frana. Si capisce che non c' è niente di niente a giustificare quella chiamata in correità. Ci sono voluti tredici anni per recuperare l'onore. Tanti. Troppi. "Mi sono ammalato - spiega lui - ho perso il lavoro, mi sono ritrovato in una situazione difficilissima. Diciamo pure che sono diventato un semiclochard, costretto a tirare avanti con una modesta pensione di invalidità". Ai limiti della sopravvivenza. "Poi è arrivato l'indennizzo di 75mila euro e per un po' ho respirato, ma poi anche quell'aiuto è finito". "Ho passato da un pezzo i sessanta - aggiunge Gallo - e trovare un'occupazione è un'impresa improba, quasi impossibile".

La giustizia si è corretta ma le ferite non si sono più chiuse. E poi è cominciata quell'altra vicenda quasi tragicomica: "La Corte dei conti mi ha chiesto 500mila euro per il danno erariale, insomma per i soldi che avrei portato via dai due uffici postali. Solo che io non avevo rapinato un centesimo e del resto ero stato assolto e pure risarcito. Ma ho dovuto rimettere in pista l'avvocato e convogliare le mie poche energie residue per chiudere quella storia. Ce l'abbiamo fatta, ma è rimasto quello sfregio dei 700 euro di spese".

Una conclusione paradossale e un'ultima umiliazione per chi aveva già perso

tutto. E si era ritrovato senza alcuna ragione a Regina Coeli. "Possono fare quello che vogliono, io quei soldi non li verserò mai". Gallo non è andato alla manifestazione. Ma qualcuno, prima o poi, dovrebbe chiedergli scusa.

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