N on è facile sminare il terreno della polemica politica, dopo aver contribuito a renderlo esplosivo. E così dopo aver caricato il referendum costituzionale di significati apocalittici - «se non passa è a rischio la governabilità del Paese» - e averlo presentato come un plebiscito, Matteo Renzi vive la sua prima estate calda, sul filo delle indiscrezioni e dei retroscena sui suoi possibili successori in caso di cortocircuito nella centralina del potere renziano.
Le voci si sviluppano in maniera confusa. Di certo la mistica del «se cado io sarà un salto nel buio», il ricatto psicologico dell'alternativa mancante e dell'Armageddon imminente non viene più neppure presa in considerazione. Addirittura c'è chi come Gaetano Quagliariello rivela che persino Giorgio Napolitano, primo sponsor delle riforme, sarebbe parzialmente deluso dal risultato finale del ddl Boschi. «Ha avviato un percorso che poi è stato tradito. Credo che lui ne sia perfettamente consapevole e stia cercando di apportare correzioni per linee interne, contando sul fatto che la Consulta possa bocciare l'Italicum». Nei ragionamenti di Palazzo ci si interroga già sulla prima mossa in caso di vittoria del «no». Cosa farà Sergio Mattarella in caso di crisi di governo? Accetterà le eventuali dimissioni di Renzi o le respingerà rimandando il premier alle Camere? Molto dipenderà dalla volontà del segretario del Pd di dare seguito alla sua «promessa», considerato che una correzione di rotta lo vedrebbe esposto a un inesorabile logoramento.
I nomi dei possibili successori di Renzi sono parecchi. Qualcuno spende il nome di Pier Carlo Padoan, soluzione utile a calmare i mercati, una sorta di premierato «anti spread», anche se il caso della Spagna dove da mesi si vive in una situazione di vacanza governativa senza impennate del differenziale Bonos-Bund non contribuisce a rafforzare l'ipotesi emergenziale. Negli ultimi giorni è spuntato il nome di Carlo Calenda, il nuovo ministro allo Sviluppo economico dopo le dimissioni di Federica Guidi. Osservato con una certa diffidenza dall'inner circle del premier per le sue nomine potrebbe rappresentare un elemento di contenuta discontinuità rispetto al predecessore. Sempre muovendosi sul filo della fantapolitica, nella rosa dei successori compaiono i nomi di altri tre ministri: Dario Franceschini, Graziano Delrio e Andrea Orlando, tre figure apprezzate per la loro moderazione. Ma la successione potrebbe passare anche attraverso i tecnici. In particolare la minoranza Pd flirta con il presidente dell'Inps Tito Boeri, economista e professore alla Bocconi. Naturalmente bisogna vedere quali mosse intenderà mettere in campo l'opposizione in caso di «Renxit». Silvio Berlusconi ha dichiarato che «bocciato il referendum e mandato a casa Renzi, faremo un governo di larghe intese» per fare le riforme. Il che significa che un nuovo Patto lo farebbe soltanto con un altro presidente del Consiglio. Stefano Parisi propone un ulteriore scenario. «Se vincesse il No le forze politiche dovrebbero approvare una legge costituzionale che sostituisca il Senato con un'Assemblea costituente.
L'Assemblea sarà eletta contemporaneamente alle Politiche, lavorerà per 18 mesi e discuterà delle proposte di riforma - poche e semplici - portate dai partiti». Una soluzione che consentirebbe a Renzi di rimanere in sella fino al 2018, diventando di fatto un premier dimezzato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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