La nostra classe politica è specializzata nel passare da un estremo all'altro. Soprattutto quando si tratta di fatti nostri. L'ultimo caso, solo in ordine di tempo, è la modifica della cosiddetta class action (sono le cause collettive) recentemente votata dalla Camera dei deputati. Per di più all'unanimità. Il che dovrebbe sempre far pensare: quando tutti i parlamentari si mettono d'accordo è garantito che il tasso di ipocrisia sia elevatissimo.
Ma andiamo al dunque. L'attuale normativa sulle azioni collettive non funziona. O meglio è molto complicato che passi al vaglio di ammissibilità del giudice. Ci sono molti paletti e precauzioni. Tutti abbiamo visto la stupenda Julia Roberts che conduce una battaglia contro la multinazionale cattiva che inquina, uccide e insabbia. Ma quello è un film. E per di più americano: un Paese, per dirne una, che non conosce il nostro sistema di sanzioni amministrative per le aziende. Il mito della lotta del consumatore indifeso contro la big corporation ha ovviamente dei fondamenti. Se fosse per il cuoco della zuppa si dovrebbe, ad esempio, aprire subito un'azione collettiva contro la multinazionale Canon che ha un customer care di fatto inesistente, nonostante sia molto pubblicizzato. Ha un grande senso liberale, a tutela dei consumatori permettere loro una difesa anche legale dai piccoli o grandi soprusi delle aziende. Pur non dimenticando che nel nostro sistema giuridico, che non è quello della common law anglosassone, il ricorso al giudizio civile è sempre possibile.
Cosa vogliamo dire? In Italia abbiamo strumenti legali ordinari contro le imprese che se ne approfittano. Le azioni collettive potrebbero essere uno strumento in più. Dunque ben vengano. Quelle che sono previste dalla legge, fino ad ora, sono servite a poco. Non sarebbe male dare una nuova verniciata a quell'impianto legislativo. Ma, e questo è il punto, la nuova legge votata dalla Camera rischia di essere un disastro. Il motivo è semplice. Il legislatore ha fatto due cose. Ha spostato la materia dal codice dei consumi al codice di procedura civile. Ampliando così la possibilità di class action dalle sole responsabilità contrattuali (l'azienda non fa ciò che ti promette) a quelle extracontrattuali (l'azienda commette inadempienze ad esempio ambientali o finanziarie che nulla hanno a che vedere con la fornitura del bene o del servizio al cliente finale). Le nostre imprese e quelle estere, che tanto a parole coccoliamo, rischiano di beccarsi contenziosi pretestuosi di tipo collettivo praticamente su tutto. Le associazioni dei consumatori (con alcune lodevoli eccezioni come Altroconsumo) che spesso sembrano tutelare più la visibilità politica dei loro leader (sono riusciti ad annunciare una class action contro il Consiglio dei ministri per danno esistenziale cagionato da stress continuo) che la difesa dei loro soci, avrebbero un bazooka puntato su tutti. Sia chiaro: non si vuole mica dire che l'azienda che inquina o inganna la debba fare franca. Come dimostrano i casi Parmalat e Ilva, in procedimenti penali si possono e in effetti si costituiscono migliaia di parti civili, proprio al fine di ottenere un risarcimento del presunto danno ricevuto.
La nuova legge sulla class action prevede inoltre che si possa aderire all'azione dopo che è arrivata la sentenza di condanna. Ne capiamo la logica, ma i parlamentari che all'unanimità l'hanno votata si rendono conto del vaso di pandora che hanno scoperchiato. Negli Stati Uniti qualcosa di simile esiste (anche se stanno rivedendo l'intero impianto della loro normativa perché più utile alle parcelle degli studi professionali che alla tutela patrimoniale dei consumatori, come dimostra il famoso caso di blockbuster quando questi ultimi si portarono a casa un buono sconto di pochi dollari e gli avvocati superfatture), ma per il semplice motivo che il costo di accesso alla giustizia in quel Paese è proibitivo.
Quello che in conclusione vogliamo dire è che occorre un bilanciamento tra le ragioni dei consumatori e la possibilità di operare serenamente da parte delle imprese.
Con la nuova legge, se dovesse essere approvata al Senato, si potranno compilare titoloni entusiastici sui giornali, ma il prezzo che le imprese saranno costrette a pagare sarà elevatissimo. Con il rischio che a goderne non siano davvero i consumatori, ma i loro presunti rappresentanti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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