Quando lavorare di più fa scendere la pensione: il principio della neutralizzazione

La Consulta chiarisce quando è possibile escludere i contributi che riducono l’importo dell’assegno

Quando lavorare di più fa scendere la pensione: il principio della neutralizzazione
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Può accadere che, dopo una vita di lavoro, versare ancora contributi finisca per ridurre la pensione invece di aumentarla? Sì, nel sistema previdenziale italiano può succedere. È l’effetto di un meccanismo legato al calcolo retributivo dell’assegno, dove la media degli stipendi degli ultimi anni di carriera può giocare un ruolo determinante. Quando le retribuzioni si abbassano — magari per un part-time, un cambio di ruolo o una scelta personale — la media scende e con essa anche l’importo della pensione. Per evitare questo paradosso, la Corte Costituzionale ha introdotto un principio che tutela i lavoratori: la cosiddetta “neutralizzazione” dei contributi penalizzanti.

Un meccanismo pensato per un altro tempo

Il sistema retributivo di calcolo, oggi progressivamente superato ma ancora applicabile a una parte dei lavoratori, nasceva da un presupposto semplice: gli stipendi degli ultimi anni di carriera sono i più alti, quindi anche la pensione deve riflettere quel livello di reddito. Ma la realtà lavorativa è cambiata. Sempre più spesso, negli ultimi anni di attività, si registrano riduzioni di orario, passaggi a ruoli meno retribuiti o periodi di inattività. Tutti fattori che, se rientrano nel periodo di riferimento per il calcolo, possono abbassare sensibilmente la media e, di conseguenza, l’importo dell’assegno pensionistico. Per porre rimedio a questa distorsione, la Corte Costituzionale è intervenuta con una serie di sentenze che hanno delineato i confini della neutralizzazione: la possibilità, cioè, di escludere dal calcolo i contributi che risultano penalizzanti per il lavoratore.

Dalle prime pronunce alla tutela estesa

La prima svolta arriva con la sentenza n. 82 del 2017, con cui la Consulta riconosce ai lavoratori dipendenti che hanno già maturato il diritto alla pensione la facoltà di chiedere la neutralizzazione dei contributi successivi, se questi riducono l’importo dell’assegno. Un anno dopo, la sentenza n. 173 del 2018 estende il principio anche ai lavoratori autonomi, segnando un passaggio importante verso una tutela più uniforme. L’obiettivo è chiaro: evitare che maggiore anzianità contributiva o un prolungamento dell’attività lavorativa si traducano, paradossalmente, in un assegno più basso.

La sentenza 112/2024

Con la sentenza n. 112 del 2024, la Corte Costituzionale ha confermato il principio generale della neutralizzazione, ma ne ha definito con precisione i limiti.

Il diritto può essere esercitato solo per contributi figurativi o per periodi non necessari, collocati negli ultimi cinque anni prima del pensionamento, e fino a un massimo di 260 settimane. La domanda deve essere presentata contestualmente alla richiesta di pensione, allegando la documentazione che dimostri l’effetto penalizzante dei contributi da escludere.

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