Il primo che strizza l’occhio al Giappone

Un'estate mi trovavo per lavoro a Misasa, una nota località termale in Giappone. Ero ospitato da una stupenda famiglia, gli Yamamoto. Con piacere e per educazione, appena possibile, cucinavo per loro. Dato che lavoravo in un «Riokkan» (albergo tradizionale giapponese), spesso praticavo i miei approfondimenti sulla cucina nipponica classica. In quelle cene tutto filava liscio e veniva apprezzato.
Le cose incominciavano a complicarsi quando cucinavo italiano per via del signor Yamamoto, il quale non gradiva l'aceto balsamico e non aveva una particolare simpatia per l'olio d'oliva extravergine. Ingredienti di cui la moglie andava per altro ghiotta.
Una sera decisi che avrei «convertito» il padrone di casa. Un piatto semplice e in perfetto equilibrio tra Italia e Giappone: degli spaghetti in bianco come richiamo dei giapponesi «Somen» (sottili spaghetti serviti sia caldi che freddi, asciutti oppure in brodo); un calamaro freschissimo crudo e dei pomodorini ciliegia.
I condimenti prevedevano l'utilizzo dell'olio d'oliva extravergine, che unito ora alla salsa di soia «Tsuyu», ora al limone Giapponese «Yuzu», rendevano il piatto papabilissimo anche per il signor Yamamoto.
Una volta cotti gli spaghetti (circa 80 grammi a persona), li ho freddati sotto acqua corrente e conditi con un filo di olio extravergine e un poco di salsa di soia. Ho preparato due pomodorini per ciascuno, tagliati a fettine sottili con olio extravergine e il calamaro a striscioline condito con olio e limone. Ho adagiato sul piatto un nido di spaghetti freddi, appoggiandoli sopra i pomodorini all'olio. Per ultime ho aggiunto le striscioline di calamaro marinato.

Infine, per creare un contrasto, ho aggiunto del basilico anch'esso a striscioline.
Il risultato finale è una sorta di sovrapposizione di «spaghetti» diversi, in contrasto tra loro per consistenze, profumi, gusto e colori... quelli italiani ovviamente, in terra d'Asia.

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