Prodi perde il Pd, ma vuole scegliere il segretario

Prodi perde il Pd, ma vuole scegliere il segretario

da Roma

Sarà che han dormito poco, causa riunione fiume notturna del Comitato dei Quarantacinque. Di certo, all’indomani di quello che è stato presentato come un «accordo» sul futuro assetto del Partito democratico, e addirittura come un «passo avanti», ognuno dei capi dell’Ulivo dice una cosa diversa dagli altri. E ognuno presenta una decisione «unanime» ma totalmente divergente da quella che presentano gli altri.
La verità, spiegano diversi partecipanti, è che la scorsa notte si era arrivati a un tale punto di non ritorno che si è usciti dal conclave con l’unica decisione possibile: quella di non decidere. Lo ammette candido il prodiano Barbi: «Niente di preciso e di univoco è stato detto sulle modalità di elezioni e sui compiti» del futuro segretario (o speaker, o coordinatore, o leader: nessuno lo chiama nello stesso modo) del Pd.
I dirigenti di Ds e Margherita almeno su una cosa erano d’accordo: bisognava convincere Romano Prodi, con le buone (Fassino) o con le cattive (Rutelli) a togliersi di mezzo, a separare definitivamente il suo ruolo di premier, finché dura, da quello di leader del futuro contenitore politico. Che deve avere una sua guida politica autonoma e indipendente da Palazzo Chigi e dal suo incerto destino.
Ma Prodi ha resistito e continua a resistere con le unghie e con i denti, e manda uno dei suoi fedelissimi, Sandro Gozi, ad avvertire: «Di leader ce ne è uno solo: Romano Prodi». E se si vuole invece contrapporgli un altro leader politico del Pd, lui è pronto a scendere in pista e anche a candidarsi a eventuali primarie. «L’assemblea costituente di ottobre - ha spiegato ieri il premier sul suo sito web - avrà il mandato di eleggere un coordinatore o segretario che avrà funzioni esecutive», perché ci vuole qualcuno che si occupi del partito «sul piano operativo e decisionale». Un mero esecutore, insomma, che non faccia ombra al leader politico del Pd. Arturo Parisi va oltre, e spiega che «il segretario, dovendo cooperare con Prodi con responsabilità operative, sarà indicato dallo stesso Prodi». E fa insorgere Lamberto Dini: «Sono molto sorpreso dalle dichiarazioni che escono da Palazzo Chigi e da Parisi. Non rispecchiano il senso della riunione di ieri: se il segretario fosse nominato e non eletto avremmo un Pd senza democrazia, e si affosserebbe l’intero processo».
Ma in verità Parisi aggiunge che «se il segretario dovesse essere caricato di una leadership politica, non potrebbe che essere scelto direttamente dai cittadini». E si fa sentire anche uno dei più fedeli ventriloqui di Prodi, Franco Monaco, per dire che «se si vuole un segretario politico, è chiaro che dovrebbe godere di una forte investitura politica». Monaco, su questo dà ragione al rutelliano Gentiloni: la Margherita infatti non molla, e insiste sul fatto che «per un partito nuovo che nasce occorre una leadership a tempo pieno» come dice Rutelli. Dario Franceschini non è da meno: serve «un leader vero, che non può non essere una figura diversa dal premier». Paolo Gentiloni va oltre: «Ci vuole un’investitura forte», quindi un’elezione diretta.
Nella babele totale, c’è il segretario ds Fassino che implora: «Non ha senso rimettere in discussione le decisioni che si erano raggiunte». Già, ma quali? «L’assemblea costituente eleggerà un segretario politico con i poteri e l’autorità di guidare il partito», mentre Prodi resterà «il leader» e il presidente del Pd.
Prodi tiene a sottolineare che il comitato lo ha «confermato «come presidente del Consiglio e presidente del neonato partito». Una sottolineatura bizzarra, che fa capire a che livello sia arrivata la tensione tra il premier e i suoi alleati, e fino a che punto la bufera post-elettorale abbia investito il ruolo di Prodi.

Come conferma candida la sindaca di Napoli Jervolino, che ha partecipato al comitato notturno: «È stata una riunione fruttosa, perché abbiamo sciolto qualsiasi dubbio sulla permanenza di Prodi come premier». Ergo, il dubbio c’era. E in verità resta.

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