Il provincialismo degli intellettuali in lacrime

"Italia mal vista all'estero", Galli della Loggia sul Corriere se la prende col Cavaliere. Ma non è così...

Il qualunquismo di Ernesto Galli Della Loggia sta toccando vette stratosferiche. Dalle colonne del quotidiano di via Solferino, l’illustre articolista ha preso lo spunto dal caso Battisti per lamentare il fatto che l’Italia non sia considerata né conosciuta all’estero e che, anzi, prevalga, uno stereotipo del nostro Paese legato all’immagine negativa di un presidente del Consiglio, percepito come personificazione ed espressione del malaffare, nonché a quella di un Paese malavitoso, mafioso e inefficiente.

La verità è che tale immagine - se esiste - esiste soltanto, o soprattutto, in quella stampa progressista o filo-progressista internazionale, che spesso è legata, anche dal punto di vista delle comproprietà e combinazioni editoriali, alla stampa progressista e filo-progressista nazionale. Questa immagine - ed è comprensibile - viene veicolata nel nostro Paese dove trova un terreno di coltura estremamente favorevole.

C’è, infatti, un’antica e lunga tradizione di provincialismo e di autocommiserazione nella cultura politica italiana. Una tradizione alimentata dalla sinistra di ogni tendenza. E, in fondo, è logico che sia così perché ad essa, quali che ne siano le sfumature, mancano la consapevolezza e l’orgoglio di appartenere a una comunità nazionale, di riconoscersi cioè in una vera e propria «identità». I marxisti, e i loro eredi, sono da sempre stati legati a una visione «internazionalistica» della storia. I loro compagni di strada - involontari «utili idioti» del mondo salottiero e radical chic - si dilettano a denigrare la storia nazionale presentandola come «sbagliata» e come frutto di tare secolari del popolo e del carattere italiani; e si crogiolano quando vengono pubblicate opere che demoliscono o ridicolizzano l’Italia e la sua storia.

Ben a ragione Galli Della Loggia lamenta il credito dato alla traduzione di un’opera dedicata alle vicende dell’Italia unitaria da uno storico inglese, Christopher Duggan: un’opera infarcita di luoghi comuni, risibile nell’impostazione e nell’interpretazione globale della storia del nostro Paese. Avrebbe potuto ricordare, Galli Della Loggia, che il lavoro di Duggan è il punto di arrivo di un filone storiografico e interpretativo che ha avuto in Denis Mack Smith il suo esponente più significativo: un filone che ha trovato, attraverso i suoi epigoni anche italiani, ospitalità acritica e considerazione ossequiosa nella stampa italiana. Quando apparve la traduzione della storia dell’Italia risorgimentale e unitaria di Mack Smith - una storia che leggeva l’intera vicenda nazionale all’insegna della categoria di un eterno e inossidabile trasformismo italiano - un grande studioso che i lettori de il Giornale ben conoscono, Rosario Romeo, osservò che il successo di quell’opera faceva dubitare del livello della coscienza etico-politica del popolo italiano.

Dove, invece, non ha ragione, Galli Della Loggia, è nell’imputare alle istituzioni la colpa della prevalenza, in certi ambienti esteri, di pregiudizi anti-italiani e della persistenza di una visione della nostra storia come quella di una nazione costituzionalmente refrattaria alla liberal-democrazia. Le lamentele sull’inadeguatezza della rete di istituti culturali e sulla politica di finanziamento delle traduzioni di opere italiane, per fare un esempio, hanno certamente un senso, ma, così come le ha poste Galli Della Loggia, finiscono per diventare di tipo qualunquistico. La verità è che la colpa di tutto ciò, prima che delle istituzioni, è del mondo della cultura, degli intellettuali, degli opinionisti.

In una certa misura, anche di Galli Della Loggia: il suo antiberlusconismo di antica data e le sue ricorrenti denunce della «incultura» del mondo di centrodestra portano acqua al mulino dei detrattori dell’Italia. Per questo il qualunquismo di Galli Della Loggia è peloso. Assomiglia alle lacrime di coccodrillo.

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