
Sovvertire la punteggiatura non è vertigine esclusiva dei grandi scrittori, quelli nobilitati dal Nobel o da qualche acrobatica fama. Un autentico bombarolo del buon senso estetico è uno scrittore "di genere" per lo più sconosciuto su questi lidi. Si chiama Patrick Senécal, classe 1967, canadese del Québec: nel 2010 ha scritto un giallo, Contre Dieu, che si sviluppa per cento pagine e passa, lungo l'arco di una frase. Come l'ormai notissimo László Krasznahorkai, anche Senécal riduce i propri romanzi per il cinema; in Italia è stato tradotto, tempo fa, dalle edizioni Nord. Ama Stephen King non vincerà mai il Nobel. Chiunque scrive sa che smobilitare la punteggiatura è necessario a conferire un ritmo al proprio libro: che sia un sabba infernale o una sinuosa sinfonia poco importa. Louis-Ferdinand Céline oltraggiava le norme della quiete letteraria abusando dei puntini, dando all'argot una vitalità jazz. Se il maestro nel ribaltare le regole del bonton grammaticale è James Joyce leggete Finnegans Wake il più geniale resta William Faulkner: le prime pagine di Requiem per una monaca sono una leccornia di due punti e punti e virgola, senza la pallottola di un punto fermo. Se è per questo, La morte di Virgilio, il capolavoro di Hermann Broch uscirà a breve, per Bibliotheka, una nuova traduzione, eureka!, a cura di Vito Punzi ha parti sublimi, imperiali, che si snodano per pagine & pagine. Sembra, leggendo, di ascoltare Bach. Alle frasi liofilizzate, da vegani letterari, di Raymond Carver, preferiamo da sempre le scritture-minotauro di David Foster Wallace, di William S. Burroughs e di Thomas Pynchon. In Francia, autentici eresiarchi del linguaggio sono Pierre Guyotat e Dominique Rouche, ovviamente intradotti. Eppure, Jon Fosse ha ottenuto il Nobel, un paio di anni fa, con libri di spiazzanti arditezze come Mattino e sera, stampa La nave di Teseo.
In Italia non siamo alieni a simili malie: basta sfogliare Gadda e Arbasino.
L'esperimento più persuasivo in questo senso, tuttavia, è quello di Giovanni Mariotti: Storia di Matilde (Adelphi) è una sorta di delirante sussurro privo di punti, all'uncinetto, che dura duecento pagine. Così, una frase incanta il lettore, lo incatena al libro.