Nessuno meglio di Ennio Flaiano, intellettuale in crisi perenne, ha saputo raccontare la crisi della categoria. Lo fece per tutta la sua carriera di giornalista, romanziere, sceneggiatore, critico; e in maniera definitiva con un'opera teatrale - La conversazione continuamente interrotta scritta nel 1971, pubblicata lo stesso anno con Einaudi in un volume che raccoglieva i suoi cinque testi teatrali, e che fece in tempo a vedere debuttare al Festival dei Due Mondi di Spoleto per la regia di Vittorio Caprioli il 22 giugno 1972, pochi mesi prima della morte. Qualcuno ha voluto vedere in quelle pagine, tra il dramma e la farsa, il suo testamento artistico, e forse anche ideologico.
Raffinato artigiano della scrittura più che artista, anti-ideologico per robusta costituzione, Ennio Flaiano in realtà nella Conversazione continuamente interrotta che ebbe un bellissimo adattamento televisivo per la Rai nel 1978 al teatro comunale di Sulmona per la regia del grandissimo Luciano Salce, e che oggi esce in un volumetto edito da Rogas con un'eccellente prefazione di Gino Ruozzi, raffinato flaianologo oltre che elegante flâneur - mise tutte le sue disillusioni umane e letterarie, la sua incapacità di capire il mondo in cui viveva e tutta la sua amara diffidenza per quello strano curioso animale domestico che era ed è l'intellettuale italiano.
Trama della Conversazione continuamente interrotta. Tre intellettuali lo Scrittore, il Poeta e il Regista, non si capisce se più Vitelloni o più mediocri - s'incontrano nei loro salotti borghesi per finire una sceneggiatura nella quale si sono impantanati. Mentre il lavoro procede lento e annoiato, disturbato da mogli, amanti e una cameriera un po' incinta e "un po' svanita", le riunioni si trasformano sempre più in una sorta di seduta psicoanalitica e diventano il pretesto (ma è "il testo che fa il finale") per affrontare, senza scioglierle, le ansie, le nevrosi e le vanità personali. Facendo emergere il loro disagio esistenziale e culturale. Più i tre intellettuali parlano, meno scrivono, e ancor meno comunicano.
Raramente un testo ha messo in scena in maniera così spietata, e irresistibilmente comica, l'Intellettuale italiano: narciso, inconcludente, condannato a un profondo sonno della coscienza. Inutile citare la perfezione dei dialoghi, in puro stile Flaiano. REGISTA: "La conversazione con tuo marito diventa sempre più penosa. Perché l'hai sposato?". MOGLIE: "Non so. Per una serie di equivoci. Una volta mi dette uno schiaffo, me ne innamorai. Speravo che mi picchiasse. Tutte le ragazze ai mie tempi sognavano un vero uomo".
Oppure: "Qual è la tua costellazione?". "Pesci". "Sì, pesci, va bene. Ma l'ascendente?". "Maionese".
Ma anche. REGISTA: "Ciao, ci si rivede sempre con un certo disgusto, no?".
Aggettivi utili a descrivere Ennio Flaiano (e tutto sommato anche un testo come La conversazione). Satirico, dubbioso, stanco, sfiduciato, inflessibile, disincantato, cinico, amaro. E pure individualista. Al contrario dell'intellettuale di oggi, che vuole essere ovunque, e coinvolgere chiunque, Flaiano scriveva "per non essere incluso". Figurati inclusivo.
Flaiano conosceva bene l'Intellettuale del suo tempo, quello che aveva attraversato il Regime e il Boom, dagli anni Quaranta ai Sessanta. E gli faceva schifo. Ma la domanda è: cosa penserebbe, e scriverebbe, dell'Intellettuale di oggi? Dell'Intellettuale che sposa le cause sociali con la stessa disinvoltura con cui cambiano le mode. Che proclama la libertà delle idee censurando gli editori. Che non sapendo più raccontare il mondo, finisce col raccontare se stesso. Che avendo perso ogni bussola morale, non può che offire agli altri una nuova segnaletica di valori. Che scopertosi debole, stigmatizza tutto ciò che è forte: l'uomo forte, l'uomo-maschio, il patriarcato, la famiglia, la Tradizione, l'identità, il merito, la forza... Che ha smesso di pensare ma non di spiegare agli altri come farlo. Che, indeciso su tutto ciò che lo riguarda, si irrigidisce su tutto ciò che riguarda gli altri: cosa possono fare, dire, leggere, guardare... Che, tragicamente distaccato dalla realtà, se ne inventa una tutta sua, ridicola.
Che, abbandonando il buon gusto, si è rifugiato in quello cattivo: nel costruire, nella letteratura, nell'arte, nel vestire; perché tutti i giornalisti, gli scrittori, i fumettari, persino gli attori fuori dal set, si vestono così male? Mah, forse, come ci diceva una bellissima agente letteraria che sarebbe piaciuta a Flaiano, "Nel nostro ambiente se non hai una spolverata di forfora sulla giacca sembra che non sei credibile".E così, sebbene continuamente interrotta, la conversazione dell'Intellettuale Eterno di Ennio Flaiano continua. Inconcludente, divertentissima e tragica.