Quando il «sindaco» Boeri usava la spranga

Li chiamavano «katanghesi»: era il servizio d’ordine del Mls, il Movimento dei lavoratori per il socialismo, l’ala più stalinista dell’ultrasinistra milanesi. Tra il gruppo di «duri» dell’Mls che nell’aprile 1975 aggredirono in piazza Cavour il neofascista Antonio Braggion c’era anche Stefano Boeri, oggi architetto di grido e candidato del Partito democratico alla carica di sindaco di Milano. Alla aggressione dei rivali, Braggion rispose aprendo il fuoco ed uccidendo lo studente diciassettenne Claudio Varalli.
Boeri finì sotto processo insieme ad alcuni suoi compagni per lesioni e danneggiamenti. Nello stesso processo Braggion venne accusato di omicidio volontario per l’uccisione di Varalli. Il 19 dicembre 1978 la Corte d’assise emise la sentenza recuperata ora dal Giornale negli archivi del Palazzo di giustizia. L’accusa a Braggion venne derubricata ad eccesso colposo di legittima difesa, e il neofascista fu condannato a dieci anni di carcere. Boeri e gli altri dell’Mls vennero invece salvati dall’amnistia approvata nel frattempo.

Ma la sentenza ebbe per loro parole dure: «l’aggressione del gruppo dei giovani fu improvvisa, rapidissima, premeditata, violentissima», «il gruppo dei ragazzi era munito di corpi contundenti, di sassi, di chiavi inglesi, di cubetti di porfido e altri arnesi». E per difendersi, si legge nella sentenza, dichiararono il falso.

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