Quel calciatore triste che preferisce Kafka ai gol

Povero Vanni Visco. Lui vorrebbe passare ogni attimo del suo tempo in compagnia della letteratura, respirando l’odore magico della carta dei libri, e invece è stato dotato di un talento naturale e assoluto per il gioco del calcio, cui non gli sarà possibile sottrarsi. Così, invece di essere uno dei tanti ragazzini pronti a rispondere «il calciatore» alla domanda sulla professione che più gli piacerebbe svolgere, senza possedere l’indispensabile genio calcistico, lui è inconsapevolmente e senza sforzo un campione da mondiale, frustrato per anni nell’ambizione di dedicarsi come gli piacerebbe al mondo di Kafka, Joyce, Hesse.
Il protagonista di questo originale Ultima di campionato di Francesco Abate (Frassinelli, pagg. 185, euro 14) non ha potuto scegliersi il percorso, piegato alle dinamiche familiari che lo hanno voluto figlio rispettoso della volontà dei genitori, figlio pacato e non ribelle come lo sfortunato fratello Luigi, e quindi ragazzino accondiscendente alle scelte degli altri, ovviamente mai sfiorati dal dubbio di non fare la cosa più giusta per lui. Vanni scala le tappe della gloria sportiva senza alcuna difficoltà e senza passione, e da calciatore di Serie A vive la più standard delle vite degli dei del pallone: soldi, investimenti, sesso facilissimo, ambienti da rotocalco. Ne è sempre disgustato e sempre in fuga, oltre ad essere circondato da un pesante recinto di solitudine e a non riuscire ad avere rapporti sereni con il genere femminile.
Per sopravvivere alla «paradossale» frustrazione si concede fughe pomeridiane nella libreria in cui l’amico proprietario gli ha riservato una stanza per dedicarsi alla lettura, e spegne il contatto con l’esterno durante la partita, o in compagnia di donne inutili, ripetendo in testa come fossero mantra prodigiosi i passaggi dei testi più amati. L’ultima di campionato del titolo in realtà è la prima partita ufficiale della nuova stagione di serie A, quella durante la quale Vanni cerca il coraggio per dare finalmente la propria impronta al destino, magari scegliendo una vita più modesta ma più adatta a lui.
Francesco Abate, giornalista sardo nonché dj (che dalla frequentazione della musica sembra aver preso la capacità di mixare generi diversi), è tutt’altro che alla sua prima opera narrativa: vanno ricordati soprattutto il convincente Getsemani del 2006 e il romanzo a quattro mani Catfish con Massimo Carlotto. Lo si vede dalla disinvoltura con cui sa far crescere il racconto e dall’abilità nel dare voce ai sentimenti del suo protagonista incontrastato, con immagini chiare ed efficacissime. Il romanzo procede con un ottimo ritmo, mescola linguaggi differenti risultando sempre credibile, monta in ordine temporale sparso i ricordi fino al liberatorio doppio colpo di scena conclusivo. Ha soprattutto il pregio di non produrre troppe macchiette e stereotipi anche quando si immerge nelle situazioni da tragicommedia all’italiana che ne sarebbero il parco naturale.
Questa bella storia sulla presunta inconciliabilità di muscoli e cervello, sulla fatica di far convivere dono naturale e passione eletta, nasce inizialmente come soggetto cinematografico, con il quale l’autore ha vinto l’edizione 1999 del premio «Solinas».

Non si fatica a credere che una trama così intelligente e ben concepita, nonché ricca di fotografie ben fatte della nostra società - che il cinema italiano solitamente riesce a riproporre con efficacia - possa essere una vicenda attraente per lo schermo, oltre a fornire un ottimo spunto per riprendere da un nuova angolazione il mondo dello sport.

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