Torna alla ribalta, in questo clima di fervore che anima il «modernismo» della città, la vecchia piscina Caimi di via Botta, fermata due anni fa per problemi strutturali, ma in realtà con gravi difetti di costruzione e di immissione dell'acqua per il semplice fatto che essa fu costruita quasi ottant'anni fa. Il che non è un dettaglio.
È strano come nel nostro Paese si riscoprano improvvisamente impianti che fanno parte di un'epoca i cui protagonisti sono in gran parte scomparsi, e li si voglia reinserire in un contesto urbano profondamente cambiato, sempre però con il messaggio di modificare il tutto ma migliorandolo e creandolo come qualcosa di nuovo e ricco di attrattive inconsuete. Ne è conferma come questa piscina sia destinata nelle intenzioni ad avere una contaminazione fruttuosa per l'utente con il vicino teatro Franco Parenti, da poco restaurato, per offrire spettacoli di un certo significato, cocktail ed eventi.
Ma non basta, perché sempre in chiave di un Expo che sembra essere una mamma destinata a sfornare figli senza fine, la piscina dovrebbe diventare una sorta di Thermae e quindi una piccola città dell'acqua. Tutto potrebbe essere cosa apprezzabile, ma il fatto che il cittadino non capisce è perché a tutto questo si è pensato solo ora, e non decenni fa, nel quadro di rendere Milano sul piano di una infinità di cittadine europee.
Ennesima dimostrazione del respiro modesto del piano urbanistico, lasciato insensatamente dormire in un sonno ultradecennale e che oggi viene rispolverato con un panno nuovo per far brillare anche le idee più semplici.
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