"Rabbia, paura e delusione. Ormai la modernità è esplosiva"

La sociologa Eva Illouz analizza la crisi della nostra civiltà: "Siamo dominati dalle emozioni"

"Rabbia, paura e delusione. Ormai la modernità è esplosiva"

Viviamo di emozioni. La società, la politica e i media sollecitano di continuo il nostro lato emotivo e noi, a nostra volta, ci osserviamo di continuo, attribuendo a ciò che proviamo una importanza senza precedenti. E questo cortocircuito emozionale è parte di quella che Eva Illouz, direttrice dell'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, definisce la Modernità esplosiva (Einaudi, pagg. 354, euro 20): così si intitola il saggio, denso e pieno di spunti di riflessione, in cui analizza «il disagio della civiltà delle emozioni».

Professoressa Illouz, perché la nostra modernità è «esplosiva»?

«La meritocrazia è l'ideologia chiave delle nostre società. Essa spiega e giustifica le ineguaglianze e, allo stesso tempo, promette la mobilità sociale: lavora sodo e sarai ricompensato... Questo ideale però ha iniziato a declinare intorno agli anni Ottanta e poi dopo la crisi dei mutui subprime nel 2008. Le società democratiche diventano esplosive quando non mantengono più le loro promesse e oggi non sono più in grado di offrire istruzione e risparmi. Per molti, il contratto sociale è decaduto».

In questo, lei sostiene, le emozioni giocano un ruolo fondamentale.

«Ovviamente le emozioni sono sempre state importanti. Oggi però prendiamo le nostre emozioni così seriamente, che esse sono diventate la realtà stessa delle nostre relazioni sociali: decidiamo della realtà e del significato di una situazione a seconda di ciò che proviamo».

Come è successo?

«La psicologia ha giocato un ruolo cruciale in questo; ma succede anche perché le relazioni sociali sono state soggettivizzate: l'individuo valuta qualsiasi cosa in base ai propri bisogni e gusti altamente singolari. Così le emozioni rivestono un ruolo sproporzionato».

Le emozioni definiscono la nostra identità?

«È la nostra identità a definire le emozioni, e non il contrario. Se lei mi insulta, io risponderò diversamente, a seconda che io sia un aristocratico del XVII secolo o una dirigente d'azienda. Nel primo caso la sfiderò a duello; nel secondo alzerò le spalle, o ignorerò il suo insulto».

Quanto le emozioni sono influenzate dalla società in cui viviamo?

«Le emozioni sono plasmate dalle ideologie, dalle classi sociali, dal genere, dalla situazione... Una intoccabile in una società di caste accetta il suo destino con rassegnazione; in una democrazia diventa una indignata e una arrabbiata. Pensiamo a come gli psichiatri abbiano patologizzato la rabbia femminile negli anni '50».

Ci sono forme di controllo?

«Se controlli la narrazione dominante e controlli gli altri, allora vuoi controllare anche ciò che provano. Pensiamo a come i soldati siano addestrati a ignorare la paura: senza questo non sarebbero in grado di essere soldati. Sono tutti esempi di come le emozioni siano incorporate nelle situazioni sociali, nelle regole create dalle persone e dalle organizzazioni».

Questa influenza però c'è sempre stata. Che cosa è specifico del XX secolo?

«La diffusione di delusione, invidia, rabbia, vergogna e nostalgia. Queste emozioni formano il cuore dell'individualità contemporanea».

C'è una «emozione della modernità»?

«L'emozione che definisce la modernità è la speranza. La speranza è basata sull'idea di progresso, individuale e collettivo, ed è stata istituzionalizzata in quelle che chiamo istituzioni del sogno: siamo costantemente sollecitati a fantasticare su un nostro sé sempre migliore. Ma oggi sperimentiamo una crisi della speranza».

Infatti parla di un «disagio della civiltà».

«Il disagio nasce quando l'esperienza sociale supera la nostra comprensione. Viviamo una crisi multipla e non esiste una cornice globale in grado di dare un senso alle sue varie sfaccettature. Il declino della democrazia, i flussi migratori, un nuovo ordine globale, il cambiamento climatico, il gap generazionale fra coloro che sostengono i valori woke e coloro che li rifiutano, la tecnologia che invade le nostre vite, l'intelligenza artificiale che fa svolgere il nostro lavoro a macchine intelligenti, che forse presto non potremo più controllare, la scomparsa delle categorie di genere, un tecnocapitalismo che ci riporta alle gerarchie feudali. Tutto questo costituisce le radici di un malessere che non afferriamo appieno».

Come è accaduto che, dalla speranza, si sia passati a delusione, rabbia e invidia?

«Le condizioni del sogno americano non esistono più. Le persone lavorano duramente e non arrivano da nessuna parte. Allo stesso tempo, credono che le minoranze godano di privilegi che a loro sono negati. E, anziché arrabbiarsi con le corporation che diventano sempre più ricche, indirizzano erroneamente la loro rabbia verso le minoranze. Le emozioni sbagliano... Il risentimento è una forma di invidia che colpisce i gruppi più deboli».

Quali sono le emozioni più «politiche»?

«La rabbia e il risentimento sono state manipolate dall'estrema destra per slogan nazionalistici; così la nostalgia».

E la paura?

«Durante la pandemia da Covid, cinque miliardi di persone sono rimaste nelle loro case. È qualcosa senza precedenti, dovuto al fatto che la crisi sia stata gestita da esperti sanitari. Gli esperti, infatti, sono contrari al rischio; gli Stati li hanno seguiti e così hanno gestito la crisi instillando la paura nelle persone. La gestione del rischio e il ruolo dello Stato nell'assicurare la salute dei cittadini moltiplicano la paura».

Quali aspetti della nostra società influenzano di più le emozioni?

«Dipende. Il cinema influenza le immagini che abbiamo nella nostra testa. La politica plasma la visione del nostro mondo sociale, i modi in cui spieghiamo l'ingiustizia e in cui costruiamo nessi causali che possono invece farci arrabbiare. I social intensificano le emozioni e le diffondono, ma non credo le determinino».

Siamo troppo concentrati sulle nostre emozioni?

«Sì. Prendiamo le nostre emozioni troppo seriamente, basando le nostre decisioni e relazioni su di esse. Le emozioni sono diventate la nostra stessa realtà di individui, ma sono inconsistenti, commettono errori e ignorano la realtà. Sono indifferenti ai fatti».

La nostra realtà è fatta di emozioni?

«Credo che la crisi che stiamo attraversando sia collegata proprio al fatto che l'unica verità che riconosciamo come valida sia quella delle nostre emozioni.

Le relazioni sociali sono basate sulla capacità di concordare con un'altra persona su un termine terzo, al di fuori di sé. Ma se le persone considerano il proprio sé e le proprie emozioni come l'unica realtà a cui valga la pena prestare attenzione, la realtà diventa irrilevante e non esiste più alcun termine terzo su cui poter concordare».

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