La rabbia di Rossi: «Questa non è la mia squadra»

«Mai entrati in partita: il Catania ha meritato i tre punti»

Emiliano Leonardi

La Lazio cade per la terza volta in campionato e dopo i quattro risultati utili consecutivi che l’avevano portata a quota dieci punti (virtuali) in classifica si ritrova ancora sottozero (ferma a -1) e soprattutto avvilita da una prestazione incolore e senza nerbo. Tre gol subiti in appena un quarto d’ora (dal trentaseiesimo del primo tempo al quinto della ripresa), e meno male che la difesa laziale non subiva gol da oltre 400 minuti.
È stato tutto troppo facile per il Catania, che intasca l’intera posta in maniera semplice, forse addirittura inaspettata, perché i rossoazzurri di Marino avevano vinto solo al primo turno, a Cagliari, e in casa finora avevano sempre diviso il bottino, col Messina nel derby e contro l’Atalanta. Invece dentro lo stadio di Lecce il signor Colucci, alla prima doppietta e al tredicesimo gol in carriera, diventa l’eversore implacabile del malcapitato Peruzzi, e Spinesi conferma le doti da uomo-gol che fino a oggi aveva mostrato solo fra i cadetti. Così, mentre annotiamo il secondo flop consecutivo (dopo lo 0-0 casalingo col Cagliari incorniciato dal rigore fallito da Oddo e dall’espulsione del capitano), registriamo pure il ritorno alla vittoria interna del Catania, che agguantò l’ultimo bottino pieno in serie A ventitré anni fa, quando il «Massimino» veniva ancora chiamato «Cibali» e l’antagonista di turno era il Pisa di Romeo Anconetani. Finì due a zero, e quella fu l’unica partita vinta dai siculi nella disgraziata stagione 1983-84, culminata con una retrocessione largamente anticipata. Sì, quello era un altro calcio, ma la sostanza non cambia il connotato della batosta patita dai «formelliani», forse ubriacati dall’euforia esagerata che ha incorniciato le tre vittorie consecutive ottenute contro Chievo, Atalanta e Torino. Troppi elogi senza aver neanche raggiunto il primo traguardo, quella quota zero diventata quasi una chimera negli ultimi otto giorni. Come se se la formazione di Delio Rossi si fosse imborghesita di colpo. Con l’aggiunta che questa volta l’allenatore di Rimini non è stato capace di cambiare in corsa la partita, confermando la statistica che lo vede in difficoltà a ottobre, un mese che secondo i numeri l’ha visto uscire dal campo 11 volte vincitore ma in 18 occasioni sconfitto e in altrettanti episodi con appena metà posta in palio conquistata.
Nel deserto dello stadio salentino stavolta la Lazio ha mostrato la sua pochezza senza il leader Oddo e il sudamericano Ledesma. Ne deriva che in una domenica pomeriggio in cui Mauri gioca la peggior partita in biancoceleste e Mutarelli, Foggia e Manfredini sembrano lontani parenti dei reali tesserati di Lotito, la Lazio crolla davanti a una siciliana, il Palermo, come le accadde l’8 febbraio, quando subì un identico 3 a 1.
«Oggi siamo stati troppo brutti per essere veri, questa non è la mia Lazio - ha sottolineato Delio Rossi, che neanche ha potuto festeggiare con lo spumante la sua quattrocentesima panchina-. È certamente la gara più brutta della mia gestione. In questo caso meglio non parlare dei singoli perché siamo andati tutti male. Non ho visto niente di positivo. Sinceramente non ho mai creduto nel recupero, nemmeno dopo il gol di Rocchi. Non siamo mai entrati in partita. Per fortuna che mercoledì è nuovamente campionato».


Così, per aiutare lui e la sua squadra a riordinare le idee, proviamo a smorzare i riflettori sulla Lazio, salvo riaccenderli fra due giorni, quando a Marassi i biancocelesti affronteranno una Samp arrabbiata dopo la rocambolesca sconfitta patita a Bergamo contro l’Atalanta. Servirà non distrarsi, neanche un attimo. Neanche per ipotizzare come andrà l’Arbitrato del Coni.

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