Rifondazione fa guerra ai nostri militari

da Roma

La sinistra di piazza chiama e quella istituzionale risponde. A 37 giorni dalle elezioni la questione Afghanistan esplode nel dibattito della maggioranza con l’appello di alcune delle figure più autorevoli dei movimenti, la sinistra sociale e pacifista già protagonista di manifestazioni negli ultimi anni contro la guerra. Un invito per il ritiro immediato dall’Afghanistan raccolto dal gruppo al completo di Rifondazione al Senato. L’appello è stato presentato dal medico Gino Strada, dal prete comboniano Alex Zanotelli, dal fondatore del Gruppo Abele don Luigi Ciotti e da Toni dell’Olio di Pax Christi. «La prima scelta che si impone - scrivono i promotori - e chiediamo al nuovo Parlamento, è quella di interrompere le missioni militari in teatri di guerra e ritirare le truppe italiane dall’Irak e dall’Afghanistan».
La richiesta è di non rifinanziare «queste missioni di guerra. Le missioni di pace - si legge nel comunicato - devono tendere alla pacificazione e alla ricostruzione, pertanto dovrebbero essere senza armi, senza eserciti, fondate sulla cooperazione con gli altri popoli, sulle diplomazie, sul dialogo e sulla solidarietà».
L’adesione di Rifondazione al Senato è immediata e «collettiva», precisa il capogruppo, Antonio Russo Spena, «per sottolineare la completa condivisione della necessità di una svolta nella politica estera del Paese, perché l’articolo 11 della Costituzione deve diventare completa realtà». Russo Spena chiarisce che «l’intero sistema di intervento va ripensato a partire dalla necessità che si basi su vere missioni di pace, senza armi». I promotori confidano in una rapida adesione anche di parlamentari dei Verdi e del Pdci. Le firme sinora sono 200 e creano un argine all’interno del centrosinistra. Sull’Afghanistan, in particolare, le posizioni nell’Unione sono molto differenti. I Ds si sono pronunciati anche recentemente per portare avanti la missione di ricostruzione, ma si sono trovati di fronte il «no» della sinistra radicale.
L’appello è solo la prima di una serie di iniziative che partiranno nei prossimi giorni per fare pressioni sul nuovo governo. Alcune associazioni pacifiste, tra cui l’Arci, chiedono al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di sospendere la parata militare del 2 giugno, dove avverrà una contestazione per chiedere il ritiro delle truppe.
Eppure nei territori martoriati dalla guerra chiedono il contrario, che l’Italia, cioè, non se ne vada. «Abbiamo veramente bisogno che il contingente italiano resti a Nassirya», ha ripetuto ieri il governatore iracheno, Al Ogheli, che ha incontrato per l’ultima volta Antonio Martino da ministro della Difesa. Al Ogheli ha spiegato che il desiderio delle autorità irachene è che «resti qualcosa del lavoro svolto per 3 anni dai militari italiani». Il rischio è «il terrorismo, la criminalità che potrebbe dilagare».


Martino ha scelto di chiudere il suo mandato da ministro con un ultimo viaggio a Nassirya, base del contingente italiano e teatro di attentati contro i nostri militari. «Mi allontano temporaneamente - ha spiegato -. Noi comunque non ce ne andiamo, non ci ritiriamo. Cambia solo la natura della missione».

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