
da Roma
La mostra non era ancora aperta, era l'estate scorsa, mancavano diversi mesi all'inaugurazione - il 2 dicembre 2024, ottant'anni dalla morte di Sua Poliedricità Filippo Tommaso Marinetti e già era tutto un dinamismo di polemiche, risse verbali e pettegolezzi e fischi e sbuffi e sberleffi, come quelli che si sentono nella sala con i nove intonarumori ricostruiti filologicamente dal restauratore Pietro Verardo, da Portogruaro, come il futurmusicista Luigi Russolo. Grida umane, Zang Tumb Tumb e insulti in libertà. Mai sentite, a memoria di cronista, così tante critiche preventive su un evento di cui nessuno sapeva ancora nulla. «Mostra fascista». «Regalo alla Meloni». «Solo propaganda». «La vendetta della destra».
Stroncature al buio e retroscena inventati. «Il ministro ha litigato con il curatore». «Il comitato scientifico è spaccato». «La mostra è approssimativa», «è poco scientifica», «è poco pop», «no è troppo pop», «ha esaltato il fascismo nel futurismo», «no ha depurato il futurismo dal fascismo...». Fra Artribune e il Giornale dell'Arte è un attacco al giorno, e poi la Repubblica e il Fatto quotidiano mentre Dagospia ci mette il carico. «Si è rovinata un'opera!», «Hanno ritirato un prestito», e le tv, e la futur-inchiesta di Report per far cadere il ministro Giuli appena arrivato, e l'accusa al curatore, Gabriele Simongini: «Ha subito pressioni per fare una mostra impostata ideologicamente», e Piazzapulita che ci fa sopra tre puntate e Tomaso Montanari che ospite da Formigli dice che non c'è bisogno di vedere la mostra perché è come una mela bacata che non si deve assaggiare... e poi, fiutando il Cadavre exquis, arrivano persino le Iene.
L'opera simbolo di quel clima si trova nella terza Sala, un piccolo olio che arriva dai Musei Vaticani di Arnaldo Ginna, un futurista cinematografico, anno 1908. Titolo: Nevrastenia.
Ma fra attacchi di nervi, stress mediatici e sovraccarichi di lavoro, la mostra Il Tempo del Futurismo, sostenuta dal Ministero della Cultura e curata da Gabriele Simongini, alla fine aprì. Fra l'ostilità di una parte, gli entusiasmi dell'altra e la curiosità di tutti. Data: 2 dicembre 2024. Luogo: la Galleria nazionale d'Arte moderna e contemporanea di Roma, diretta da Cristina Mazzantini. Ampliata con nuovi arrivi e prorogata, chiuderà a breve, il 27 aprile, e per quel che vale il giudizio di un giornalista: prendetevi un giorno e andate a vederla.
Di fatto, dopo l'apertura, le critiche cessarono. E paradossalmente hanno offerto una sorprendete visibilità alla Galleria. «La mostra sul Futurismo ha rilanciato la Gnamc, confermandone la storica centralità nel mondo dell'arte moderna e contemporanea. Ha riportato al museo molte persone che non ci passavano da molto tempo», è la convinzione della direttrice.
Poi, ci sono le cifre. Cinque mesi di mostra, 354 opere d'arte (con libri, riviste, manifesti e oggetti scientifici e d'arredo diventano 530) che ne fanno una delle esposizioni più grandi di sempre sul Futurismo, un percorso di 26 sale per quasi 4mila mq di museo, 84 enti prestatori italiani e stranieri e finora 150mila biglietti staccati (la Galleria nazionale non vedeva un flusso simile di visitatori della grande mostra su van Gogh del 1988) per un incasso di 1,2 milioni di euro. Più gli eventi, il bookshop (sono già stati venduti 2.500 cataloghi), caffetteria... Il Ministero della Cultura ha messo 1,5 milioni, più gli sponsor. Di fatto la mostra si è autofinanziata. «Poi oltre all'aspetto economico c'è quello culturale», è l'orgoglio del curatore Simongini: «Grazie alle scuole c'è stato un incredibile passaggio di ragazzi, dalle elementari alle superiore, molti dei quali non avevano mai sentito parlare del Futurismo. E proprio Marinetti in un discorso del '19 dice che il compito principale di chi fa cultura è dare spazio e sicurezza ai giovani. E cosa è più servizio pubblico dell'educazione all'arte?».
Maleducati, aggressivi, provocatori, contro i musei e con l'ossessione della ricostruzione futurista dell'universo, eccoli qua Marinetti, Balla, Boccioni, Cralli, Osvaldo Peruzzi, Sante Monachesi, Turcato, Prampolini, Balla e tutti gli altri. In quota rosa in un mondo multicolor c'è anche Benny Cappa Marinetti... L'esposizione è ricca e l'allestimento scenografico. Certo, si può fare il giochino di citare un nome che manca o un'opera che stona, ma fra profezie della macchinizzazione dell'umano e dell'umanizzazione della macchina di cui i futuristi furono anticipatori - la mostra mantiene la promessa del titolo: portarti dentro il Tempo del futurismo.
E per entrarci, nell'atrio al piano terra, bisogna attraversare e i bambini si divertono un mondo la Futurpioggia di Lorenzo Marini, un'installazione immersiva composta da 4000 quadratini di plexiglass che calano dall'alto con lettere ridisegnate ispirate ai colori e le forme e le parole in libertà di FTM&soci, mentre il pavimento specchiante raddoppia l'effetto pioggia.
E poi, il sole. I primi due quadri sono, da una parte, Il sole di Giuseppe Pellizza da Volpedo del 1904 e, dall'altra, la Lampada ad arco di Giacomo Balla del 1910-11 che arriva dal MoMa. Tra i due dipinti ci sono appena sei anni. Ma il lampione con la sua luce elettrica ha già ucciso il chiaro di luna, la città ha conquistato i campi, il mondo è cambiato, la storia è stata superata dal futuro e il Futurismo sta entrando nella Storia. Si dice avanguardia quando niente sarà più come prima.
Il prima e il dopo lo segna il famoso manifesto apparso su Le Figaro nel 1909 eccolo lì, un foglio originale, in bacheca, prestato dalla nipote - che Marinetti riuscì a far pubblicare seducendo la figlia del direttore (ma il giorno l'aveva già lasciata...). Tutto il resto scorre via lungo un percorso, molto chiaro, che passa dall'arte alla scienza, dalla tecnologia all'autoritratto di Boccioni da giovane che viene dal Metropolitan, dal dinamismo plastico alla Fiat Chiribiri «Siluro» del 1912 (che è il nuovo modello di bellezza, altro che la Vittoria di Samotracia), da un Severini mai esposto della collezione di Caltagirone a un Russolo prestato dal Mart di Rovereto grazie a Vittorio Sgarbi, che tre settimane fa è passato da qui, accompagnato dal medico; dalla Maserati di Tazio Nuvolari dei Panini di Modena alla replica dell'idrovolante Macchi Castoldi Mc 72, incarnazione metallica dello spirito futurista, e tutt'intorno alle pareti i capolavori dell'aeropittura... E poi architettura (Antonio Sant'Elia che influenzò Metropolis di Fritz Lang), pubblcità, le donne futuriste, gli astrattisti comaschi (il senatore Claudio Borghi si è fermato un po' davanti a questa parete), i gilet di Balla, gli arazzi di Depero, la frase di Marinetti che tutti i deputati fotografano (a proposito, l'altro giorno è passato l'ex ministro Gennaro Sangiuliano, che volle la mostra, e il ministro Alessandro Giuli, che la inaugurò, è tornato qui una domenica con la famiglia): «Il Futurismo è l'ottimismo artificiale opposto a tutti i pessimismi cronici, è il dinamismo continuo, il divenire perpetuo e la volontà instancabile». E alla fine, volendone proprio cercare uno, per accontentare anche la critica ostile, l'unico dipinto davvero fascistissimo è Dinamica dell'azione di Enrico Prampolini, del 1939, con Mussolini a cavallo. Che il Duce, peraltro, si comprò.
E così su tutto quanto, futur-fascisti e nuovi antifascisti, fra lazzi, scherzi, inezie e polemiche, sembra di sentir risuonare, alzatasi un secolo fa, la risata beffarda di Ettore Petrolini. Un altro squisito futurista.
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