Roberto Cotroneo e le piccole frasi di pessimo gusto

Roberto Cotroneo e le piccole frasi di pessimo gusto

Ma no, Cotroneo, così ci fa sentire in colpa! Pubblicare la sua raccolta di racconti con una piccola - quantunque ottima - casa editrice, la Aliberti... Lei, che potrebbe scegliere tra Mondadori e Rizzoli con la stessa facilità con cui altri possono scegliere tutt’al più se mettere l’aceto o il limone sull’insalata... È proprio vero che certi scrittori, pur di evitare una stroncatura, ricorrono a strategie di camuffamento quantomeno eccessive. Quando in libreria abbiamo intravisto il suo volume in uno scaffale laterale, un po’ in ombra, quasi quasi ci siamo commossi. Anche perché, come tentativo di mimetizzarsi, non era dei più riusciti. Se davvero avesse voluto rendersi invisibile, per cominciare avrebbe dovuto optare per un titolo diverso. Meno alla Cotroneo. Adagio infinito e altri racconti sospesi (pagg. 135, euro 14) odora di lei come i tre asterischi odorano di Manzoni e i tre puntini di sospensione odorano di Céline.
Tra l’altro, se proprio dobbiamo essere sinceri, è un titolo ingannevole. E buon per il lettore che sia così. Perché è vero, indubbiamente almeno la metà dei racconti di Adagio infinito è tarata per conquistare lettrici con un quoziente di intelligenza compreso tra 40 e 70 - le piccole donne cui lei deve il suo successo. Infatti contiene frasi di questo tenore: «Avevo desiderato per molti anni due cose. Una finestra che guarda il mare. E uno strumento per suonare tutte quelle musiche che avevo sempre sognato». Oppure: «Ancora spero che in queste ore possa accadere qualcosa, un miracolo che mi porti via da qui, il sogno di poterti rivedere; e guardarti negli occhi in silenzio, dentro questo mio silenzio che con il tempo è diventato un mondo rassicurante». Raccapricciante anche «Lei non sapeva di che colore fosse la luce del pomeriggio...».
Ma è l’altra metà dei racconti che ci ha stupito. Constatiamo che lei, Cotroneo, è in grado di togliersi la maschera, di spogliarsi ogni tanto di quei panni finto-regali e finto-curiali che addosso, del resto, le stanno così male, e di parlare senza falsetto. Sa che i ricordi della sua infanzia non sono male? La scena della tombolata natalizia, per esempio, è memorabile. La famiglia calabrese emigrata ad Alessandria, gli zii ognuno diverso dall’altro, i cugini decenni ma già esperti della vita (non a caso, sanno cos’è un autogol)... E il salotto di nonna Fortunata? Meglio di quello di nonna Speranza! Con il televisore in bianco e nero poggiato su un carrello di vetro e legno, e il trasformatore sotto.

Perché non continua su questa linea? Lo vede anche lei, che basta poco, per fare della letteratura onesta. E poi, chissà: se ci si mette d’impegno, potrebbe trascinare le grandi case editrici (la Rizzoli, la Mondadori...) nel progetto scellerato di comportarsi bene.

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