Il sacrificio di Geronzi per proteggere Generali

Per quale motivo Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, fino a poche settimane fa non favorevole all’opzione Bernabè, ha cambiato idea? Con ciò scontentando la sua struttura manageriale e il suo azionista di riferimento, Unicredit, che ha fatto segnare il suo dissenso con un’astensione che vale un cazzotto. Insomma il milieu economico e finanziario che circonda Geronzi ieri non ha certo stappato il Krug in foresteria (come invece fece all’epoca della riuscita scalata di Colaninno e soci).
Questa volta i musi sono lunghi e la tesi è che il «processo decisionale per la scelta dei vertici Telecom si era ormai incastrato, e nessuno si è sentito in grado di tirare fuori dal cappello un nome che potesse essere alternativo a quello dell’ex numero uno dell’Eni». Ecco, appunto: un impasto di inerzia e strategia. Ma che arriva in un momento delicatissimo. La partita Telecom non è stata semplicemente la scelta di un successore alla gestione Tronchetti. È stato uno show down sui rapporti di forza che nei prossimi sei mesi sceglieranno i vertici del capitalismo made in Italy, pubblico e privato.
Ritorniamo così alla questione iniziale: cosa ha fatto accovacciare Geronzi sull’uomo Eni. Perché il presidente di Mediobanca trova con Bazoli (altro grande azionista di Telecom) un compromesso che gli costa il rapporto con il suo azionista di riferimento Unicredit?
La spiegazione minimalista che giustifica il comportamento di Geronzi per la sua presunta debolezza sul fronte giudiziario e sulle rinnovate tensioni riguardo ai «requisiti di onorabilità», necessari per guidare una banca, appare inconsistente.
È più probabile che la colazione tra Bazoli e Geronzi che ha sbloccato la nomina di Bernabè abbia tranquillizzato Mediobanca e il suo leader riguardo al futuro delle Generali. Non è un mistero che Intesa e Bazoli abbiano mal digerito l’assetto delle assicurazioni triestine all’indomani della fusione Unicredit-Capitalia. L’entente cordiale tra i banchieri in una certa misura mette ai margini Profumo, ma riporta in primo piano la straordinaria capacità di manovra di Romano Prodi. Il partito Iri, a cui sarebbe sbagliato associare automaticamente Bernabè, è sempre stato interessato alla vicenda Telecom e si rivela ancora una volta il grande dominus dell’impresa in Italia. Prato all’Alitalia, Cappon e Fabiani in Rai, Ciucci all’Anas sono solo alcune delle ultime nomine del governo: e tutte con lo stesso timbro «irizzante». Tra pochi mesi, in primavera, oltre alle privatissime Generali, sono in scadenza corpaccioni parapubblici come Eni, Enel, Terna, Poste e Finmeccanica.

L’entente cordiale e il cambio di rotta su Telecom da parte di Geronzi possono dunque essere rubricati come il necessario sacrificio per proteggere Generali. Un sacrificio che, c’è da scommettere, riguarderà però anche una bella fetta delle ex partecipazioni pubbliche. Qualche mese e sarà tutto chiaro.

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