Roma - Un voto sul filo del rasoio. Romano Prodi dovrà tornare in Senato il 6 giugno e giocarsi il tutto per tutto non per salvare il suo viceministro, Vincenzo Visco, ma il suo stesso governo la cui sopravvivenza è messa pesantemente a rischio dalle divisioni interne alla coalizione.
E il primo ad avvertire i suoi alleati è il senatore Cesare Salvi, che subito dopo il via al Partito democratico, cui non ha aderito, ha lasciato anche la presidenza della Commissione Giustizia di Palazzo Madama.
Salvi avverte Prodi: attenzione ai numeri perché il rischio di andare sotto e di vedere messo al muro il governo è assai probabile.
Salvi annuncia che anche il suo gruppo, Sinistra democratica, presenterà un’interpellanza sulle presunte pressioni che il vice ministro avrebbe esercitato sulla Guardia di finanza. Non si può fare finta di niente dice Salvi. «C’è un problema da affrontare e da chiarire. E le risposte date dal presidente del Consiglio nel question time dello scorso anno presentano dati di fatto completamenti diversi da quelli messi a verbale dal comandante della Guardia di finanza», osserva Salvi che aggiunge: «siamo in attesa di conoscere i chiarimenti che il governo si è impegnato a fornire». Per Salvi «è difficile aggiungere altre considerazioni di merito» ma sicuramente si dice preoccupato dall’atteggiamento dell’esecutivo. «Non vorrei che il governo sottovalutasse la serietà della situazione che si è venuta determinando rispetto a numeri parlamentari in Senato che sono quelli che conosciamo».
E in effetti più si avvicina il giorno in cui il Senato dovrà pronunciarsi sul caso Visco più aumenta la fronda nell’Unione. Sono saliti addirittura ad 11 i documenti presentati da entrambi gli schieramenti per il confronto a Palazzo Madama: mozioni che impegnano il governo al ritiro di tutte le deleghe; ordini del giorno per sospendere solo la delega sulla Gdf; interpellanze in cui si chiede conto dell’operato di Visco nella vicenda della presunta richiesta di trasferimento dei vertici della Guardia di Finanza di Milano che indagavano sulla scalata Unipol alla Bnl.
Che cosa succederà al momento del voto sulle varie mozioni. Mentre il centrodestra è compatto e attende sul piede di guerra la discussione in aula la compagine di centrosinistra si squaglia come neve al sole. Sono almeno sette i senatori del centrosinistra che non corrono in difesa del viceministro delle Finanze. Anzi sono pronti alla resa dei conti. Sono i quattro senatori dell’Italia dei valori, che ha presentato un suo ordine del giorno (Aniello Formisano, Giuseppe Caforio, Fabio Giambrone e Franca Rame); Ferdinando Rossi, ex Pdci ora al Misto. Poi i senatori ultra-ulivisti della Margherita Willer Bordon e Roberto Manzione, che hanno presentato anche loro un ordine del giorno sfavorevole a Visco. E i senatori frondisti potrebbero salire a otto, perché Manzione si dice convinto che un altro senatore dell’Ulivo sia pronto ad aderire all’odg presentato con Bordon.
Visto che a Palazzo Madama la maggioranza ha 158 voti contro i 156 del centrodestra, basta che i sette senatori non partecipino al voto per far andare sotto il governo. «È molto improbabile infatti che, su una vicenda come questa, i senatori a vita vengano in soccorso della maggioranza», osserva l’azzurro Andrea Pastore. Tra loro, tuttavia, Francesco Cossiga ha annunciato che non voterà la mozione contro Visco.
Tra i più agguerriti nel chiedere le dimissioni di Visco il ministro per le Infrastrutture, Antonio Di Pietro. L’ex magistrato pensa che «per ragioni di opportunità e per evitare di essere considerati come quelli che insabbiano», il viceministro Visco si dovrebbe autosospendere dall’incarico, in attesa che la magistratura accerti eventuali rilievi penali riguardo alla sua condotta. «Sono certo che non c’è un solo reato -dice ancora Di Pietro- che si possa addebitare a Visco. Si tratta di stabilire se è vero o no che un ministro interviene, contrariamente a quanto stabilito dalla legge, nella fase delicata dell’assegnazione degli incarichi dei comandi della Gdf: è problema politico e morale».
Nei corridoi della politica però si sussurra che l’intransigenza di Di Pietro non sia affatto gradita a buona parte del governo che infatti starebbe boicottando molte delle iniziative che interessano il suo dicastero come la riunione del Cipe prevista fra una settimana che invece è slittata a tempo indefinito.
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