San Vittore va chiuso Ma bisogna spiegarlo alla sinistra illuminata

I l cardinale Dionigi Tettamanzi ha detto di aver «provato una grande pena» durante la sua visita natalizia a San Vittore e di avervi «trovato uno squallore intollerabile e condizioni offensive della dignità umana». E di un Paese civile, aggiungiamo noi. Come si fa, infatti, a non essere d'accordo con l'arcivescovo di Milano?
E pensare che c'è gente, a cominciare dai soliti Dario Fo e Franca Rame, che, accecata da fette di salame ideologico sugli occhi, si oppone alla chiusura di quel vecchio penitenziario e alla sua sostituzione con una più moderna, efficiente e civile struttura nella futura cittadella giudiziaria a Porto di Mare (alla cui realizzazione, per la verità, sono ostili anche gli avvocati, ma per la più pedestre ragione che hanno casa vicino all'attuale palazzo di giustizia).
Secondo i democratici, nemici del suo trasferimento, il carcere, per quanto vecchio e fatiscente, deve restare in centro, per non sottrarlo - pensate un po' - al «controllo sociale» e «per non separare i carcerati dalla vita della città». Sciocchezze.
Il disumano e cronico sovraffollamento di San Vittore è noto purtroppo da molto tempo, ma nulla di concreto si fa per rimediare. Intanto, però, nonostante qualche inutile e, anzi, dannoso indulto, l'intasamento cresce inesorabilmente di anno in anno. L'ex convento ormai ospita una popolazione - metà della quale in attesa di giudizio, quindi giuridicamente innocente - doppia della sua effettiva capacità: da sei a dieci persone in ogni cella, una situazione davvero insostenibile.


Per fortuna a Milano si succedono dirigenti delle strutture penitenziarie fra i più intelligenti, dinamici e innovativi: dal provveditore regionale Luigi Pagano, che si è fatto le ossa proprio a San Vittore, al direttore della casa circondariale di Bollate, Lucia Castellano, che ha fatto di quell’istituto uno dei più apprezzati, per quanto è possibile per un carcere, d'Europa: perché innovativo, civile e, insomma, umano. (...)

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