Sangue e tritolo, le sparate del comunista kamikaze

da Roma

Non è sicuramente nuovo alle invettive antiberlusconiane, Oliviero Diliberto. Memorabili nel marzo 2006 «quelle mani grondano sangue» dopo che l’ex premier, in visita negli Usa, aveva stretto la mano a Bush. L’estremizzazione della polemica dona al segretario del Pdci visibilità nell’agone politico-mediatico. Così lui non risparmia niente e nessuno, nemmeno il Billionaire di Briatore nel quale entrerebbe «solo imbottito di tritolo».
È una necessità di marketing, dovendo difendere con le unghie e con i denti la nicchia di mercato «comunista» dagli assalti di Rifondazione e dei Verdi. Ma gli albori dell’ex ministro della Giustizia del governo D’Alema non avevano la matrice truculenta odierna. Nato a Cagliari nel 1956 da famiglia borghese, Diliberto ha abbracciato l’ideale comunista da adolescente diventando in breve tempo segretario regionale della Fgci sarda. Ma la fortuna politica era di là da venire e nel capoluogo isolano ha soprattutto lasciato il segno come docente universitario alla locale facoltà di Giurisprudenza.
È la svolta della Bolognina, che nel 1991 sancì la nascita del Pds, a segnare l’inizio della fortuna dilibertiana. Aderì a Rifondazione legandosi a doppio filo con Fausto Bertinotti. Il debutto a Montecitorio è datato 1994. A solo 38 anni il futuro segretario del Pdci assommava tre ruoli di rilievo: quello di deputato, quello di professore ordinario e soprattutto quello di direttore di Liberazione, il quotidiano del Prc che rilanciò con lo slogan «Mi consenta di incazzarmi!» (anche questa un’allusione berlusconiana).
Nel 1998 la seconda svolta. La decisione di Bertinotti di ritirare la fiducia al primo governo Prodi comportò la scissione che diede vita a una nuova formazione comunista, allora capeggiata insieme con Armando Cossutta, silurato dallo stesso Diliberto nel corso della formazione delle liste elettorali nel 2006. Il resto è storia recente, ma vale la pena ricordare che la passata legislatura è stata vissuta dal parlamentare sardo non senza difficoltà.
Costretto all’opposizione, ha concentrato tutti gli strali su un unico obiettivo: Silvio Berlusconi. Il «fascista» Berlusconi è «pericoloso per la democrazia», ebbe modo di dichiarare. L’avversione per la politica estera della Cdl non si manifestò solo nei confronti di Bush ma anche verso Ariel Sharon, apostrofato come «criminale di guerra». Ben prima che Massimo D’Alema diventasse titolare della Farnesina, Diliberto nel 2004 andò in Libano per incontrare il leader di Hezbollah in persona, lo sceicco Hassan Nasrallah suscitando l’ovvia irritazione dell’ambasciatore israeliano in Italia Ehud Gol.
Certo, i dettagli si dimenticano. Forse si ricorda maggiormente quando nel corso di Matrix corresse il latinorum di Berlusconi, colto in fallo su un accusativo.

Ma un dato è incontrovertibile: da quando il pacifista Bertinotti è diventato presidente della Camera, è il leader Pdci a solleticare i movimenti. A novembre, quando si gridava «10, 100, 1000 Nassirya» durante una manifestazione a Roma, Diliberto c’era.

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