Santa Rita in crisi: «Non possiamo risarcire i pazienti»

L’istituto chiede alla Corte d’appello di bloccare l’esecuzione di 1 milione e 400mila euro di rimborsi

«L’istituto è stato condannato a risarcire complessivamente, con sentenza provvisoriamente esecutiva, danni pari a euro 1.405.000. Orbene, non c’è alcun dubbio che la provvisoria esecuzione di una simile somma rechi quale inevitabile conseguenza un pregiudizio ingente, e anzi potenzialmente irreversibile per l’Istituto clinico». Così, in un documento di 63 pagine, l’Istituto clinico città studi (ex Santa Rita) - condannato in qualità di responsabile civile a risarcire immediatamente per i danni patiti dai pazienti operati a solo scopo di lucro che si erano costituiti parte civile - impugna la sentenza di primo grado, e chiede «di revocare o in subordine di sospendere della provvisoria esecuzione delle statuizioni civili ante udienza, nonché di immediata sospensione». In sostanza, di non pagare prima che sia emessa la sentenza definitiva.
L’impugnazione contro la sentenza di condanna di primo grado è stata presentata dall’avvocato Luca Troyer per conto della Casa di cura al centro di uno scandalo sanitario che le era valso l’appellativo di «clinica degli orrori»: 83 casi di lesioni dolose ai danni di altrettanti pazienti, condanne per l’ex primario del reparto di Chirurgia toracica Pier Paolo Brega Massone e per i suoi due vice Marco Pansera e Pietro Fabio Presicci, oltre a un’inchiesa chiusa nel marzo scorso per quattro casi di omicidio a carico di Brega. Ma la nuova gestione chiede di non pagare subito i risarcimenti. Il rischio - spiegano - è che l’Istituto vada in bancarotta.
«L’azienda - sottolinea l’avvocato - in cui peraltro lavorano all’incirca 600 dipendenti e 200 liberi professionisti, anche in ragione della transazione a suo tempo stipulata con la Regione Lombardia e la Asl che ha comportato un esborso di più di 7 milioni di euro, ha chiuso anche l’ultimo bilancio di servizio con una perdita pari a euro 4.517.875, dopo aver chiuso i due precedenti con perdite rispettivamente pari a euro 6.301.583 (esercizio 2009) e a euro 7.695.534 (esercizio 2008)». Pertanto, «l’eventuale contemporanea liquidazione delle statuizioni civili implicherebbe senz’altro l’esborso di quella spropositata somma di denaro, che metta in pericolo non solo la possibilità di recupero ma altresì elida in modo estremamente rilevante il patrimonio dell’obbligato». Inoltre, Troyer sottolinea come in caso di assoluzione nei prossimi gradi di giudizio, «la difficoltà di un eventuale successivo recupero di quanto versato è di immediata e indiscussa evidenza.

E ciò, si badi, non solo e non tanto per l’entità della somma in sé, quanto per il fatto che andrebbero intentate iniziative giudiziarie nei confronti di oltre 20 persone fisiche, le quali - sebbene magari non tutte indistintamente versanti in modeste condizioni economiche, come il Tribunale pure vorrebbe far credere - verosimilmente potrebbero non essere più nella disponibilità del denaro allorquando l’istituto si accinga a recuperare il credito».

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