Testimoni «intimoriti», «palesemente reticenti» o che addirittura fanno «scena muta» per paura. Parla dellomertà che ha caratterizzato tutto il dibattimento il pm Alessandra Dolci nella requisitoria del processo sulle infiltrazioni della ndrangheta nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano e nellhinterland. Un giro daffari milionario sui cui hanno messo le mani le cosche.
Il processo, davanti ai giudici della settima sezione penale, ha visto sfilare al banco dei testimoni gli imprenditori ritenuti vittima dei sei imputati accusati a vario titolo di associazione di stampo mafioso, estorsione, riciclaggio aggravato dalle modalità mafiose e violazione della legge sulle armi. Tra le persone a giudizio figurano il nuovo capo in Lombardia della ndrangheta, Salvatore Barbaro, 35 anni, originario di Locri, erede del capo dei capi delle cosche in Lombardia Rocco Papalia (del quale è il genero), già condannato allergastolo; il padre Domenico Barbaro, detto «Nico laustraliano», 72enne originario di Plati arrestato poco prima che tornasse in Australia; il fratello Rosario Barbaro, 37. A processo anche Mario Miceli, 52enne di Plati, genero di Domenico Barbaro; Maurizio Luraghi, 55enne di Rho, che con la moglie Giuliana Persegoni, 51 anni di Locri, fungeva da «testa di legno» per ottenere gli appalti sui cantieri e poi subappaltava illecitamente alla cosca. Essendo «fallito» aveva intestato alla consorte la propria società.
Nella requisitoria il pm ha definito lassociazione sotto processo «una nuova forma» di associazione mafiosa che accentua «il carattere imprenditoriale», e che non ha bisogno di controllare «in maniera militare» il territorio, ma a cui è sufficiente «intimidire». Il pubblico ministero Dolci, alla fine, ha chiesto per i sei imputati condanne fino a 15 anni di reclusione.
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