Economia

Scandalo Parmalat? No, affare anche per noi

Chi oggi si straccia le vesti dimentica che il sogno dell’italian milk è stato affossato da Tanzi a danno di migliaia di investitori. E oggi Lactalis paga Parmalat 3-400 milioni più del suo valore

Scandalo Parmalat? 
No, affare anche per noi

La zitella si è sposata. E la sua dote, fatta di contante fru­sciante e buone amicizie in giro per il mondo, se ne va in Francia. La famiglia Besnier non si è fatta sfuggire l’occasione e ha messo a segno uno di quei corteggiamen­ti per i quali non resisterebbe ne­anche la più affascinante delle damigelle. Parmalat si sposa con Lactalis. Bene. Evviva. Ieri Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy hanno benedetto le nozze. E il presidente francese, già che c’era, ha pubblicamente dato il suo appoggio a Mario Draghi quale presidente della Banca centrale europea. Francoforte val bene un sorso di latte.

Questa vicenda ci racconta però qualcosa di più della mera cronaca finanziaria. Bastiat, un francese che non amava Colbert, diceva sempre: «Dove passano le merci, non passano gli eserciti». Come dire: le guerre nascono da motivi commerciali, attenzione dunque a chiudersi a riccio.

Parmalat, conviene ricordarlo, è una società italiana strategica come un produttore di fichi secchi: cioè zero. A meno che si debba definire tale tutto ciò che si produce in Italia. Negli anni si costruì un buon nome con acquisizioni scellerate (perché fatte senza soldi) che infatti finirono con una truffa colossale. Si può ben dire che la grandezza di Parmalat è stata pagata dai risparmiatori che ingannati investirono nelle azioni e nelle obbligazioni del lattaio di Parma. Il sogno dell’italian milk non è morto oggi, ma è deceduto anni fa con la truffa di Tanzi e Tonna. Migliaia di italiani con i propri quattrini alimentarono quel sogno marcio. Negli ultimi sette anni, attraverso diverse procedure straordinarie, il commissario e poi leader del gruppo Enrico Bondi, vendendo, tagliando e facendo causa alle banche, ha rimesso in sesto l’azienda. E ha fatto qualcosa di più: l’ha piazzata in Borsa, gonfia di una cassa di 1,3 miliardi di euro, e senza azionisti di controllo. Là, libera che fluttuava nel mercato. Corteggiabile da chiunque. E anche un po’ civettuola: tutti sapevano delle sue straordinarie e mondane doti nascoste, i quattrini.

I francesi di Lactalis non sono stati i più veloci del West, ma gli unici a provare a portarsela a casa. E lo hanno fatto aprendo il portafoglio. Certo, la loro società non è quotata, i loro bilanci un mistero ben custodito, e la famiglia una di quelle dinastie che preferisce il lavoro a Saint Tropez. Nulla di scandaloso: anzi molto italiano. Cambiate cognomi e vi trovate decine di nostre dinastie che assomigliano ai Besnier, a partire proprio da quei Ferrero della Nutella che per un breve periodo furono coinvolti come possibili cavalieri bianchi. Ma quando i francesi chiedono la mano alla bella addormentata si apre, in Italia, il finimondo. Scopriamo che il latte è strategico. E un gruppo di banche, aiutate da un provvidenziale decreto governativo cosiddetto antiscalate, compra un po’ di tempo alla ricerca di un’alternativa ai francesi. Prima si studia una scalata parziale al 60 per cento, ma manca il socio forte, a parte banche ed enti pubblici. Poi si ipotizza un’Opa mignon al 30 per cento. E poi finalmente i francesi, notizia di ieri, rompono gli indugi e per 4,5 miliardi si portano a casa tutto il boccone. Fanno un’Opa totalitaria: aggiungono al 30 per cento che già avevano comprato dai fondi, un 70 per cento che acquisteranno da tutti i piccoli risparmiatori a un prezzo più che buono. Parmalat verrà comprata a un valore superiore a quanto oggi trattano in Borsa società che fanno un mestiere simile.

Banalizzando, e riportando la questione alle tifoserie calcistiche, si può dire che la Francia regala agli italiani 300-400 milioni più di quanto avrebbe dovuto pagare in condizioni di mercato perfetto. A ciò si aggiunga l’investitura ufficiale e a questo punto determinante di un italiano come Draghi alla guida dell’unica vera istituzione europea, la Bce.

Le due storie hanno un risvolto simile. L’Italia, nonostante la nostra indubbia capacità di autodenigrazione, ha ancora qualcosa da raccontare al mondo. Nella sua burocrazia statale si formano i leader dell’Europa di oggi: e la politica ha saputo, nonostante tutto, tenerli in giusta considerazione. E le nostre aziende parimenti fanno gola all’estero.

Lamentarsi che Parmalat finisca oggi in mani francesi è come dolersi del fatto che Draghi si debba trasferire da Roma a Francoforte.

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